Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 18 Venerdì calendario

Grassi per lavoro, la dura vita del critico gastronomico - 

L’sms arriva alle 9 di mattina: «Oggi ho toccato il mio re­cord, ahimè: 125 chili»

Grassi per lavoro, la dura vita del critico gastronomico - 

L’sms arriva alle 9 di mattina: «Oggi ho toccato il mio re­cord, ahimè: 125 chili». Firmato Edo­ardo Raspelli.

Dura la vita del critico gastronomi­co. Mestiere invidiato dai più, dai colleghi, dai lettori («Beato lui, paga­to per mangiare»), eppure professio­ne pericolosa, quasi quanto un invia­to di guerra. Niente bombe o proiet­tili vaganti, bensì grassi, trigliceridi in agguato. «Quando, trent’anni fa, ho lasciato la cronaca nera per occu­parmi di ristoranti – dice Raspelli – pesavo 55 chili». Non male per uno che è alto 173 centimetri. Ra­spelli, per lavoro s’intende, visita «tra i 100-150 ristoranti l’anno. So­no goloso, mangio velocemente e vo­racemente: due antipasti, due primi, due secondi. Il minimo per dare un giudizio». Ci vuole un fisico bestiale per fare il critico? «La stazza è parte del mio successo, non lo nego. Ma ora non ce la faccio più, salire le sca­le, muovermi, inizia ad essere un problema. Senza dimenticare che, a causa del cibo, mi sono beccato un’epatite, i calcoli e ho rischiato di perdere un rene». Anche per questo alla fine di luglio, Edoardo Raspelli si è sottoposto ad un intervento chi­rurgico per dimagrire.

 Enzo Vizzari, direttore della guida Ristoranti d’Italia dell’ Espresso, trent’anni di ristoranti recensiti («in media, 150 l’anno ma sono al massi­mo un ventina quelli dove mi trovo bene») gioca «perennemente in dife­sa. Mi limito nel mangiare e passo le giornate a bere tanta acqua». Risulta­to? «La mia linea è cambiata, da 65 chili sono arrivato a 104. Da circa un anno mi sono assestato sugli 86 e cerco di tenere la posizione». Vizza­ri, 63 anni, è alto 168 centimetri. «Il phisique du role del critico gastrono­mico sta nell’immaginario colletti­vo. Certo, è un mestiere impegnati­vo ». 

Se ripensa ai suoi 67 chili di un tempo, a Marco Gatti, critico per il Quotidiano Nazionale , gruppo Class e Libero , «vengono le lacrime». Og­gi, a 46 anni, di cui venti passati a mangiare per lavoro («Dall’inizio del­l’anno ho già visitato 120 ristoran­ti »), Gatti pesa 90 chili. «Quando ini­zi questa professione sai già che fini­rà così. Quel che più mi preoccupa è la salute. Nel cibo cerco di mettere logica e attenzione. Limito le porzio­ni, una volta assaggiata bene la pie­tanza è inutile ripulire il piatto». E le donne? «Mia moglie, cardiologa, mi tiene sotto controllo».

 Paolo Marchi de Il Giornale , 54 an­ni, 180 centimetri per 123 chili si de­finisce «un obeso di secondo grado. Mi piace vivere il cibo in ogni mo­mento della giornata». Marchi si fa 100 ristoranti l’anno. E ci tiene al­l’educazione: «Mangio tutto, non è bello mandare in cucina un piatto non finito». Infine, l’ammissione che appare un controsenso per chi fa il suo mestiere: «Sto cercando un dietologo, ma...». Ma? «Un critico mezzo anoressico mi farebbe spe­cie ».