Miriam Tola, D - La Repubblica delle Donne, 12/09/09, 12 settembre 2009
LA PACE NEL MONDO? SUL WEB
Quando Fortune l’ha nominato uno dei ”dieci guru che tutti dovrebbero conoscere” BJ
Fogg si è fatto fotografare nella posizione del loto e ha dichiarato: «Sono lusingato ma non
sicuro di meritarlo. Dietro questa classifica non c’è un criterio scientifico, altrimenti forse
non ci sarei». Modestia zen a parte, nella Silicon Valley, epicentro mondiale dell’innovazione tecnologica, Fogg è noto da anni come pioniere della captologiae direttore del Persuasive Technology Lab di Stanford. «Ho coniato il termine captology nel 1996 ma ormai lo uso poco perché molti lo trovano un po’ sinistro. Studio e insegno l’influenza dei computer e del web sui comportamenti umani, la psicologia di Facebook e il futuro della persuasione attraverso i telefonini», spiega. Ma tra i suoi progetti, uno è assolutamente straordinario, ambizioso e rischiosissimo: portare la pace nel mondo entro 30 anni. Fogg, che in Italia ha pubblicato Tecnologia della persuasione(Apogeo), sarà a Milano il 25 settembre per Meet The Media Guru, serie di incontri con esperti della cultura digitale. Il termine captology evoca la fantascienza più dark.
Quanta ne ha letta da ragazzo?
«Non così tanta, ma mio padre aveva un telefono in macchina già alla fine degli anni ”60. Forni a microonde e videoregistratori entrarono prestissimo in casa. Un’estate in Francia, mentre già lavoravo per l’industria high tech, ho scoperto La rhetorique, un libro della famosa collana Que sais-je? che introduceva Aristotele e altri teorici della persuasione. stato l’incontro tra due mondi. Quando ho presentato a Stanford un progetto di ricerca sui computer carismatici qualcuno avrà pensato che ero un pazzo, ma hanno dato l’ok ai primi esperimenti: usavamo la psicologia sperimentale per capire se, date certe condizioni, le persone si lasciano influenzare dalle macchine. Era il 1993, in un decennio tutto è cambiato».
Che cosa in particolare?
«L’avvento del web a metà anni ”90, poi, nel 2007, Facebook e Twitter hanno introdotto la ”persuasione interpersonale di massa”. Social network e social media permettono agli individui di raggiungere e persuadere milioni di persone. Nella preistoria della captologia la radio trasmetteva messaggi a un pubblico gigantesco, poi la tv ha aggiunto le immagini moltiplicando gli effetti. In passato solo governi e aziende con grandi capitali controllavano i media di massa, ora il potere della persuasione è alla portata di molti. Chiunque può creare gruppi su Facebook per i motivi più disparati. Nel settembre 2007, ad esempio, seppi attraverso Facebook che alcuni amici avevano aderito a un gruppo di sostegno alla lotta dei monaci birmani. In pochi giorni il gruppo si era gonfiato a dismisura convincendo migliaia di persone a raccogliere informazioni, organizzare azioni di solidarietà, donare tempo e denaro. Perché funziona? Le richieste arrivano da persone amiche, dunque sono credibili. Il processo di persuasione sui social network è automatico, rapidissimo e misurabile».
Grandi aziende come la NewsCorp di Rupert Murdoch e Google controllano MySpace e YouTube. Questo non pone interrogativi sul potere della persuasione?
«A differenza del Wall Street Journal, MySpace non diffonde un solo messaggio, una visione del mondo e dell’economia. Non nascondo che il nuovo potere della persuasione può essere pericoloso se usato dalle persone sbagliate. Io però credo che gli esseri umani siano fondamentalmente buoni e sapranno usarlo per il progresso della società».
Però su Facebook ci sono anche tanti gruppi che languono perché nessuno partecipa. Dove sbagliano?
«Spesso non seguono le regole base della persuasione. La regola numero uno è definire con chiarezza il comportamento che vogliamo influenzare. La numero due è proporre cambiamenti che non richiedono troppi sforzi. Chiedere a qualcuno di fare yoga tutti i giorni per ridurre lo stress è un obiettivo fuori portata, meglio partire da 20 secondi di stretching. Lo ripeto di continuo ai miei studenti: senza la politica dei piccoli passi non si va da nessuna parte. Google era un semplice motore di ricerca, Facebook un network riservato a pochi amici. L’espansione è venuta dopo. La regola numero tre è trovare lo stimolo giusto: un sms, ad esempio, può ricordarci che è ora di fare quei 20 secondi di allungamento».
Piccoli passi? Ma la pagina web del progetto Peace Innovation di Stanford annuncia che porterete la pace nel mondo entro 30 anni. Non è troppo ambizioso?
« la cosa più rischiosa per la mia credibilità. solo l’inizio ma qualcosa si muove: lo scorso agosto abbiamo coinvolto alcune importanti aziende in un workshop di una settimana e presto lanceremo un’iniziativa per mostrare possibili usi del web 2.0 in questo settore. La pace ha un problema di marchio: non si riesce a mettere tutti d’accordo su una definizione. D’altra parte, è già presente in molti individui e comunità, va distribuita. Studiamo anche come misurare l’efficacia dei progetti di peace building, cosa mai fatta prima».
Una scienza della pace?
«Sbaglierò, ma non credo sia impossibile. il bello di vivere a Silicon Valley: rischi e impari
dagli errori. Poi pensi come cambieranno le cose tra qualche generazione: gli attuali leader politici saranno rimpiazzati da individui con una visione diversa del mondo, su Facebook avranno una rete di amici con ramificazioni negli Stati Uniti, Europa, Asia e Medio Oriente.
Conosceranno i loro gusti e abitudini. Saranno abituati al confronto. Una bella differenza no?».
Che cosa succederà alla generazione over 30, a quelli che il Web 2.0 lo masticano a malapena? Non saranno più in grado di persuadere?
«Non è mai troppo tardi per colmare il vuoto. Tra le classi su Facebook che tengo a Stanford, una è rivolta ai genitori. L’anno scorso l’ho insegnata insieme a mia sorella Linda,
che ha 8 figli. Molti si sono iscritti spinti dalla paura, dall’ansia verso uno strumento che i ragazzi conoscono alla perfezione. Per loro la pagina Facebook dei figli era come la cameretta, un luogo privato, pieno di segreti. La metafora giusta invece è il prato di fronte casa. Ma i ragazzi devono imparare a essere responsabili in pubblico».
Lei ha detto che i cellulari saranno lo strumento di persuasione più importante. Quando succederà e perché?
«Ci vorranno ancora 10-15 anni e succederà perché i cellulari sono sempre con noi, ci seguono ovunque, negli spazi pubblici e privati. Sono compagni di vita vicini e fidati, siamo gelosi se qualcuno ficca il naso in questi oggetti privatissimi, ci viene l’ansia quando li dimentichiamo. E attraverso i telefoni intelligenti possiamo fare sempre di più: controllare mappe, girare video, navigare Internet e accedere ai nostri profili online».
Lei fa anche il consulente per marchi come Nike, e-Bay. Che differenza c’è tra captologia e marketing?
«Ci sono sovrapposizioni e aree grigie. Certo è possibile usare questi nuovi strumenti di persuasione anche per promuovere prodotti o candidati politici».