Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 16 Mercoledì calendario

Se solo... Lawrence McDonald inizia con queste parole la sua testimonian­za diretta della caduta di Lehman Brothers, elencando sette ipotesi per riflettere su come decisioni diverse avrebbero potuto salvare il suo ex datore di lavoro

Se solo... Lawrence McDonald inizia con queste parole la sua testimonian­za diretta della caduta di Lehman Brothers, elencando sette ipotesi per riflettere su come decisioni diverse avrebbero potuto salvare il suo ex datore di lavoro. Se solo Dick Fuld, amministratore de­legato di Lehman, avesse dato ascolto a quan­ti lo ammonivano delle imminenti perdite su­bite dal portafoglio patrimoniale della banca. Se solo Fuld non si fosse inimicato Hank Paul­son, l’allora ministro del Tesoro. E via di que­sto passo. Lawrence McDonald non è l’unico a pensa­re che la bancarotta di Lehman si potesse evi­tare. Alan Blinder, ex vice presidente della Fe­deral Reserve, ha definito «un errore colossa­le » la decisione di lasciar fallire la banca. Chri­stine Lagarde, il ministro delle Finanze fran­cese, la denunciò a suo tempo come uno sba­glio «tremendo». Quando un avvenimento è seguito da tali sconquassi – il più grave pani­co finanziario dal 1931, la peggiore recessione dalla fine della guerra – è solo umano imma­ginare come si sarebbe potuto salvare capra e cavoli. Ma quando, presso il World Economic Forum di Davos, a gennaio, mi sono permes­so di contraddire questa tesi, ho trovato ben pochi sostenitori. Se solo. Se solo Lehman fosse stata salvata, non ci sarebbe stata la stretta creditizia. Né la minaccia di una nuova Grande Depressione. Se solo Lehman fosse stata salvata, rimugina­no i Repubblicani, non ci sarebbe stata la vit­toria trionfale dei Democratici nelle elezioni americane di novembre. Al posto del presi­dente Barack Obama, ci sarebbe oggi John McCain alla Casa Bianca. Dopo tutto, la corsa presidenziale era ancora sul filo del rasoio nell’estate dello scorso anno. stata la gravità della crisi economica dopo il 15 settembre a segnare il destino di McCain, e non da ultimo perché egli stesso aveva confessato in prece­denza la sua totale ignoranza in materia di economia. La presidenza di McCain, ovvia­mente, avrebbe avuto priorità molto diverse: nessun pacchetto di stimoli di ispirazione keynesiana, nessuna «opzione pubblica» in un’impensabile riforma della sanità. Se solo Lehman fosse stata salvata, non ci sarebbero oggi minacce di Obamacare (nuove normati­ve per la salute pubblica), né isterismi colletti­vi per timore di «condanne a morte» dei ma­lati dettate da misure di ispirazione sociali­sta. Ma perché fermarci qui? Se solo Lehman fosse stata salvata e McCain avesse vinto le elezioni, la Rivoluzione Verde in Iran avrebbe goduto del sostegno americano e Ahmadi­nejad non sarebbe più alla guida del suo Pae­se. Se solo Lehman fosse stata salvata, evitan­do così il crollo del mercato azionario, Micha­el Jackson non sarebbe stato costretto a firma­re il suo impegno per quei 50 massacranti concerti a Londra. Non si sarebbe sentito stressato e avrebbe evitato di farsi sommini­strare tanti sedativi. Se solo Lehman fosse sta­ta salvata, Jacko oggi sarebbe ancora vivo. Se solo. A dire il vero, no. Non tutto sarebbe finito bene, nel migliore dei mondi possibili, se so­lo Lehman Brothers fosse stata salvata. Al con­trario, la decisione di salvare Fuld avrebbe quasi certamente provocato conseguenze peggiori di quelle innescate nel lasciar affon­dare lui e la sua società. (...) Rivelando agli americani che cosa poteva accadere se persi­no la quarta banca di investimento del Paese dichiarava bancarotta, Paulson ha contribui­to a creare la volontà politica di lanciare il sal­vataggio a tutto campo del sistema finanzia­rio statunitense. Il punto critico è che Lehman rappresenta­va il caso più estremo di un fenomeno assai diffuso. Alcuni grandissimi istituti finanziari erano diventati pericolosamente soggetti alla leva finanziaria e puntavano dritti all’insol­venza. Affidandosi a modelli ingannevoli di gestione del rischio, assomigliavano sempre di più a una fila di lemming, pronti a saltar giù dal precipizio uno alla volta – o piutto­sto, sospinti dagli short-sellers, o venditori al­lo scoperto. (...) Ciò che occorreva fare era va­rare un gigantesco salvataggio generalizzato. Ed è questa infatti la strada che hanno preso i 700 miliardi di dollari di fondi speciali stan­ziati dal governo (Tarp). Se Paulson e Ber­nanke avessero assorbito Lehman di propria iniziativa, si sarebbe vista una sollevazione al Congresso contro l’ennesima sovvenzione a un istituto palesemente mal gestito. Poteva­no anche non esserci, i Tarp. E sarebbe stata la condanna a morte per Citigroup, un istitu­to tre volte più grande di Lehman. Come l’am­miraglio inglese messo a morte, nella celebre frase di Voltaire, Lehman doveva morire pour encourager les autres – ov­vero per convincere le altre banche che avevano biso­gno di iniezioni di capitale pubblico, e per convincere la legislatura ad approvare queste misure. Non tutto nella storia è inevitabile, di­fatti abbondano i casi impre­visti. Talvolta è giusto dire «se solo», ma un salvatag­gio immaginario di Lehman Brothers rappresenta il con­trofattuale errato. Quello giusto dice così: se solo il fal­limento di Lehman fosse sta­to seguito dall’avvertimento inoppugnabile alle banche sopravvissute che nessuna di loro, da quel momento in poi, era troppo grande per falli­re, allora forse avremmo appreso qualcosa dall’attuale crisi. La vera tragedia è che il falli­mento di Lehman ha lasciato i superstiti di Wall Street più grandi e più sicuri, al riparo dello scudo politico. Fintanto che le grandi banche sapranno di poter fare affidamento sugli interventi di salvataggio del governo – perché oggi chi rischierebbe mai «un’altro Lehman»? – ecco che possono permettersi di ignorare ogni ammonimento per compen­si più ragionevoli. Se solo avessimo imparato da Lehman che nessuna banca dovrebbe essere considerata «troppo grande per fallire», potremmo avere ancora in piedi un vero sistema capitalistico, al posto di questa mostruosità puntellata dal­lo Stato che rappresenta il vero retaggio della crisi dell’anno passato. Ah, se solo!