NIALL FERGUSON, Corriere della Sera 16/09/2009 (Wylie Agency), 16 settembre 2009
Se solo... Lawrence McDonald inizia con queste parole la sua testimonianza diretta della caduta di Lehman Brothers, elencando sette ipotesi per riflettere su come decisioni diverse avrebbero potuto salvare il suo ex datore di lavoro
Se solo... Lawrence McDonald inizia con queste parole la sua testimonianza diretta della caduta di Lehman Brothers, elencando sette ipotesi per riflettere su come decisioni diverse avrebbero potuto salvare il suo ex datore di lavoro. Se solo Dick Fuld, amministratore delegato di Lehman, avesse dato ascolto a quanti lo ammonivano delle imminenti perdite subite dal portafoglio patrimoniale della banca. Se solo Fuld non si fosse inimicato Hank Paulson, l’allora ministro del Tesoro. E via di questo passo. Lawrence McDonald non è l’unico a pensare che la bancarotta di Lehman si potesse evitare. Alan Blinder, ex vice presidente della Federal Reserve, ha definito «un errore colossale » la decisione di lasciar fallire la banca. Christine Lagarde, il ministro delle Finanze francese, la denunciò a suo tempo come uno sbaglio «tremendo». Quando un avvenimento è seguito da tali sconquassi – il più grave panico finanziario dal 1931, la peggiore recessione dalla fine della guerra – è solo umano immaginare come si sarebbe potuto salvare capra e cavoli. Ma quando, presso il World Economic Forum di Davos, a gennaio, mi sono permesso di contraddire questa tesi, ho trovato ben pochi sostenitori. Se solo. Se solo Lehman fosse stata salvata, non ci sarebbe stata la stretta creditizia. Né la minaccia di una nuova Grande Depressione. Se solo Lehman fosse stata salvata, rimuginano i Repubblicani, non ci sarebbe stata la vittoria trionfale dei Democratici nelle elezioni americane di novembre. Al posto del presidente Barack Obama, ci sarebbe oggi John McCain alla Casa Bianca. Dopo tutto, la corsa presidenziale era ancora sul filo del rasoio nell’estate dello scorso anno. stata la gravità della crisi economica dopo il 15 settembre a segnare il destino di McCain, e non da ultimo perché egli stesso aveva confessato in precedenza la sua totale ignoranza in materia di economia. La presidenza di McCain, ovviamente, avrebbe avuto priorità molto diverse: nessun pacchetto di stimoli di ispirazione keynesiana, nessuna «opzione pubblica» in un’impensabile riforma della sanità. Se solo Lehman fosse stata salvata, non ci sarebbero oggi minacce di Obamacare (nuove normative per la salute pubblica), né isterismi collettivi per timore di «condanne a morte» dei malati dettate da misure di ispirazione socialista. Ma perché fermarci qui? Se solo Lehman fosse stata salvata e McCain avesse vinto le elezioni, la Rivoluzione Verde in Iran avrebbe goduto del sostegno americano e Ahmadinejad non sarebbe più alla guida del suo Paese. Se solo Lehman fosse stata salvata, evitando così il crollo del mercato azionario, Michael Jackson non sarebbe stato costretto a firmare il suo impegno per quei 50 massacranti concerti a Londra. Non si sarebbe sentito stressato e avrebbe evitato di farsi somministrare tanti sedativi. Se solo Lehman fosse stata salvata, Jacko oggi sarebbe ancora vivo. Se solo. A dire il vero, no. Non tutto sarebbe finito bene, nel migliore dei mondi possibili, se solo Lehman Brothers fosse stata salvata. Al contrario, la decisione di salvare Fuld avrebbe quasi certamente provocato conseguenze peggiori di quelle innescate nel lasciar affondare lui e la sua società. (...) Rivelando agli americani che cosa poteva accadere se persino la quarta banca di investimento del Paese dichiarava bancarotta, Paulson ha contribuito a creare la volontà politica di lanciare il salvataggio a tutto campo del sistema finanziario statunitense. Il punto critico è che Lehman rappresentava il caso più estremo di un fenomeno assai diffuso. Alcuni grandissimi istituti finanziari erano diventati pericolosamente soggetti alla leva finanziaria e puntavano dritti all’insolvenza. Affidandosi a modelli ingannevoli di gestione del rischio, assomigliavano sempre di più a una fila di lemming, pronti a saltar giù dal precipizio uno alla volta – o piuttosto, sospinti dagli short-sellers, o venditori allo scoperto. (...) Ciò che occorreva fare era varare un gigantesco salvataggio generalizzato. Ed è questa infatti la strada che hanno preso i 700 miliardi di dollari di fondi speciali stanziati dal governo (Tarp). Se Paulson e Bernanke avessero assorbito Lehman di propria iniziativa, si sarebbe vista una sollevazione al Congresso contro l’ennesima sovvenzione a un istituto palesemente mal gestito. Potevano anche non esserci, i Tarp. E sarebbe stata la condanna a morte per Citigroup, un istituto tre volte più grande di Lehman. Come l’ammiraglio inglese messo a morte, nella celebre frase di Voltaire, Lehman doveva morire pour encourager les autres – ovvero per convincere le altre banche che avevano bisogno di iniezioni di capitale pubblico, e per convincere la legislatura ad approvare queste misure. Non tutto nella storia è inevitabile, difatti abbondano i casi imprevisti. Talvolta è giusto dire «se solo», ma un salvataggio immaginario di Lehman Brothers rappresenta il controfattuale errato. Quello giusto dice così: se solo il fallimento di Lehman fosse stato seguito dall’avvertimento inoppugnabile alle banche sopravvissute che nessuna di loro, da quel momento in poi, era troppo grande per fallire, allora forse avremmo appreso qualcosa dall’attuale crisi. La vera tragedia è che il fallimento di Lehman ha lasciato i superstiti di Wall Street più grandi e più sicuri, al riparo dello scudo politico. Fintanto che le grandi banche sapranno di poter fare affidamento sugli interventi di salvataggio del governo – perché oggi chi rischierebbe mai «un’altro Lehman»? – ecco che possono permettersi di ignorare ogni ammonimento per compensi più ragionevoli. Se solo avessimo imparato da Lehman che nessuna banca dovrebbe essere considerata «troppo grande per fallire», potremmo avere ancora in piedi un vero sistema capitalistico, al posto di questa mostruosità puntellata dallo Stato che rappresenta il vero retaggio della crisi dell’anno passato. Ah, se solo!