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 2009  settembre 16 Mercoledì calendario

Giulio Tremonti va ripetendo da mesi: «Meno male che ab­biamo l’Inps». In verità, la previdenza italiana è largamente im­perfetta

Giulio Tremonti va ripetendo da mesi: «Meno male che ab­biamo l’Inps». In verità, la previdenza italiana è largamente im­perfetta. La pensione media è pari a 12.600 euro l’anno, e scende a 10.400 considerando anche l’invali­dità sul lavoro e la reversibilità. Me­no della metà della retribuzione ti­po che supera di poco i 26 mila. E tutto al lordo delle imposte. Assegni sociali e affini non arrivano a 4.700 euro. E sarà pure difficile mantene­re nel tempo simili prestazioni. Ma il ministro dell’Economia non ha torto. L’Istituto nazionale della pre­videnza sociale resta l’architrave del welfare tricolore, e in questa reces­sione mostra una tenuta che può sorprendere quanti preferivano i fondi pensione anglosassoni. Proprio ieri l’Inps ha reso noto l’incasso tra gennaio e agosto: 91 mi­­liardi, più 0,9% sul budget e meno 0,4% rispetto alla stessa frazione del 2008. Le imprese, ha osservato il pre­sidente Antonio Mastrapasqua, con­tinuano a pagare i contributi e la col­laborazione tra Inps e Agenzia delle Entrate migliora la lotta all’evasio­ne, che ha portato 3 miliardi, il 77% sui primi 8 mesi dell’anno preceden­te. Ma la battuta di Tremonti è detta­ta anche da un altro fatto, meno no­to: la previdenza obbligatoria, base della sicurezza sociale europea da Bi­smarck a Beveridge, sostiene il bi­lancio dello Stato, come vedremo, in misura non piccola.  un presente, dunque, che va ca­pito meglio per ragionare più a fon­do, quando sarà, sullo stesso Libro Bianco del ministero del Welfare. Proiettandola al 2050, gli esperti del ministro Maurizio Sacconi giudica­no insostenibile la spesa sociale. La contribuzione per pensioni e sanità per gli over 65 assorbirebbe il 62% sul costo del lavoro degli occupati: 10-12 punti in più, aggiungiamo noi, rispetto all’onere attuale. Ma siamo gli unici messi così? Quanto pesa la realtà e quanto l’idea di socie­tà di ciascuno? L’Inps può aiutare molto: se fun­zionerà sempre meglio e se offrirà una base informativa più solida a chi deve decidere. La vecchia conso­ciazione, al cui interno si consuma­va ogni compromesso tra sindacati, associazioni imprenditoriali, gover­no e Parlamento, è in fase di supera­mento. Gli stakeholders sono rap­presentati nel consiglio di indirizzo e vigilanza, che approva i bilanci ma non influisce sulla gestione affidata a un consiglio di amministrazione a capo del quale c’è un presiden­te- commissario con forti poteri. Una governance dualistica che, or­mai da qualche tempo, sta metten­do a frutto l’informatizzazione delle 700 sedi avviata nei primi anni No­vanta da Gianni Billia. Lo dimostra­no – più degli utili dell’Istituto (6-7 miliardi l’anno, effetto special­mente della riforma Dini e del rialzo dei contributi) – l’aumento dei ser­vizi resi, oltre 300, a fronte della ri­duzione degli organici: i dipendenti erano 32 mila a inizio 2007, ora so­no 28.600 e se ne vanno in quiescen­za al ritmo di 1.200 ogni dodici mesi data l’età media, 59 anni. Al quartier generale dell’Eur ritengono di non avere eccessi di personale. Anzi, van­no fieri del confronto con la Fran­cia, dove i servizi accentrati nel­­l’Inps e nell’Inpdap, l’Istituto dei di­pendenti pubblici che conta a sua volta 7 mila addetti, sono spalmati su 11 istituti che occupano 120 mila persone, e con la Germania, che con­ta 6 istituti con 70-80 mila dipen­denti. Mastrapasqua, in particolare, ha snellito e ringiovanito il vertice operativo riducendo da 28 a 12 i di­rettori generali e abbassandone l’età media da 62 a 46 anni. Ma mol­to resta da fare per recuperare getti­to con il contrasto all’evasione e per moderare le uscite tagliando le prati­che clientelari, dove l’Inps è mero uf­ficiale pagatore. Il caso classico è quello degli asse­gni di invalidità civile. Erano 2,2 mi­lioni distribuiti a 1,9 milioni di bene­ficiari nel 2007; sono saliti a 2,5 mi­lioni dal valore medio di 5 mila euro l’anno a favore di 2,1 milioni di per­sone nel 2008; arriveranno a 2,9 mi­lioni di assegni per 2,4 milioni di «pensionati» quest’anno, con un onere che aumenta da 13,8 a 16,3 miliardi a carico dello Stato. que­sto il settore dell’Inps che desta scandalo: il sordo di Cassino che suona nella banda musicale; la fami­glia napoletana di 16 persone che ri­ceve altrettanti assegni di invalidi­tà; il cieco perugino che ci vede per­ché, dice, è stato miracolato a Lour­des dove si era recato nel giorno di Santa Lucia. Ma cancellare gli abusi pittoreschi rende poco. L’intenso programma di Mastrapasqua farà ri­sparmiare 100 milioni. Conta di più ridurre strutturalmente l’afflusso delle invalidità civili indebite, pro­mosse da patronati locali in combut­ta con Asl e studi legali spregiudica­ti. D’ora in avanti l’Inps inserirà un suo medico nelle commissioni giu­dicatrici delle Asl con diritto all’ulti­ma parola. E controllerà il flusso, perché le richieste andranno indiriz­zate per via telematica all’Istituto che le girerà alle Asl, ma senza per­derle d’occhio, mentre finora tutto naufragava in un mare di carte. Ma il problema di fondo è la normalità. Anche perché spesso la finta invali­dità è un miserevole soccorso all’in­digenza in mancanza d’altro. E sulla normalità l’Istituto dovrebbe dare i numeri attendibili per l’oggi e il do­mani. Dal 2003 l’Inps fa un bilancio vici­no al codice civile. Ma i conti d’ordi­ne sono vuoti. Attendono di essere riempiti con gli impegni futuri. Con­segnare i dati grezzi alla Ragioneria generale dello Stato, al governo e al­la Banca d’Italia è bene. Elaborarli e inserire le elaborazioni in bilancio sarebbe meglio. L’Inps è il braccio secolare del ministero del Welfare, ma le informazioni dovrebbero esse­re al di sopra di ogni sospetto. Sulla carta, il respiro istituzionale non manca: il consiglio di indirizzo l’avrebbe per natura, la presidenza perché ha avuto anche il voto del­l’opposizione. Insomma, come stanno davvero le cose? Nel 2009 il fondo pensione dei lavoratori dipendenti, di gran lunga il più importante, è destinato a maturare un avanzo di 3,5 miliar­di, uno in più rispetto al 2008. il saldo tra le perdite di 7 miliardi dei fondi di telefonici, elettrici, traspor­ti e vecchi dirigenti (i nuovi sono dentro l’Inps) e l’utile del fondo pro­priamente detto di 10,6 miliardi. A tanto si aggiunge l’avanzo della Cas­sa integrazione e altre gestioni tem­poranee: 4,6 miliardi nonostante la recessione. Il patrimonio netto del fondo è positivo per 60 miliardi, somma algebrica dello storico disa­vanzo del fondo pensione (120 mi­liardi, in riduzione) e dell’avanzo delle gestioni temporanee (180 mi­liardi, in crescita). Giuliano Cazzola, uno che se ne intende, non si sente tranquillo. L’Inps che dice? E come girano davvero i quattrini tra l’Inps, chi versa, chi prende e il bilancio pubblico? Secondo il Rapporto sullo Stato sociale 2008, nel 2006 l’Inps eroga pensioni per 199 miliardi. Di questi, 31 sono interventi assistenziali (as­segni sociali, invalidità civili, inte­grazioni varie) coperti da versamen­ti del Tesoro. La spesa netta è pari a 168 miliardi. Poiché le entrate con­tributive arrivano a 151 miliardi, c’è un saldo negativo per 17 miliardi, ma dalle pensioni l’Erario preleva 28 miliardi di Ire. Il saldo tra entrate e uscite rende dunque al bilancio dello Stato qualcosa come 11,3 mi­liardi di euro. Dal 1990 al 2006, il contributo dei pensionati è stato di 36 miliardi. Si può stimare che, con il 2008, superi i 60. Questo dicono alla Sapienza di Ro­ma e al Centro di ricerca interuniver­sitario sullo Stato sociale. L’Inps po­trebbe asseverare o correggere. E chiarire anche il confronto con gli al­tri Paesi. Perché è vero che Eurostat e Ocse contano alla stessa maniera per tutti, ma non sono omogenei i dati di partenza. La spesa pensioni­stica è calcolata al lordo delle impo­ste, ma in Germania le imposte ven­gono detratte prima dai contributi e dunque «non risultano» e in Fran­cia le aliquote sulle pensioni sono di­mezzate. Di più, la spesa pensionisti­ca italiana include il Tfr, una forma di salario differito, non di pensione, come finalmente riconosce la Ragio­neria. E il Tfr, che all’estero non esi­ste, vale l’1,3% del Pil. L’allarme del Libro Bianco ci sta, ma oggi la spesa sociale italiana è, come mostra la tabella, nettamente inferiore a quella di altri grandi d’Eu­ropa e il Paese che ce l’ha più alta, la Svezia, è quello con la crescita più forte e senza la droga del debito pub­blico. L’Inps potrebbe allegare al bi­lancio un confronto tra le spese pen­sionistiche disaggregate secondo gli obblighi di legge e fare anche i confronti con le spese pensionisti­che dei Paesi con una estesa previ­denza privata, sommando quanto gestito dagli Stati e quanto dai fon­di, non foss’altro perché agli uni e agli altri i soldi li dà sempre Pantalo­ne. Rischieremmo di scoprire che la spesa pensionistica totale non è poi tanto diversa. E che, comunque la si giri, a bassi salari corrispondono pensioni ancora più basse. ----------- Giuliano Cazzola, deputato del Pdl, è un ex segretario della Cgil di origine socialista che da anni segue l’Inps. Onorevole Cazzola, l’Inps dichiara utili cospicui. Può dirsi fuori dai guai? «L’Inps ha più di 30 gestioni, non solo pen­sioni, ma ammortizzatori sociali, sgravi con­tributivi ed altri trattamenti. Se il bilancio è attivo non significa che il settore pensioni non abbia problemi. La «due galline dalle uo­va d’oro» (più o meno 15 miliardi di saldo positivo) sono la gestione delle prestazioni temporanee (cig, indennità di malattia e ma­ternità, ecc.) e quella dei parasubordinati. Le gestioni pensionistiche sono complessiva­mente in difficoltà, anche se è vero che a sof­frire parecchio sono le gestioni degli autono­mi e degli ex fondi speciali». Gli immigrati aiutano... ««Gli immigrati sono non solo una neces­sità, ma anche una risorsa. Dal punto di vista pensionistico, non è così facile risolvere i pro­blemi aprendo di più le frontiere. Oggi l’ap­porto degli immigrati è importante perché versano i contributi ma non incassano anco­ra la pensione (è lo stesso discorso che vale per i parasubordinati. Quando cominceran­no ad andare in quiescenza anche loro, il di­scorso cambierà e non di poco». Secondo il Rapporto sullo Stato sociale c’è troppo allarme sui conti previdenziali. «Le previsioni fatte con la riforma Dini, nel 1995, tenevano conto di uno scenario ma­croeconomico diverso da quello che si è veri­ficato e da quello attuale. Per questi motivi la Ragioneria generale dello Stato ha ragione nell’indicare un incremento di spesa pari ad un punto di Pil nei prossimi anni». Ma l’Inps, nel suo bilancio, distingue tra previdenza coperta da contributi e assisten­za finanziata dallo Stato. Un conto è quanto grava sul costo del lavoro, un altro quanto tocca al fisco. «La spesa pensionistica è una sola e pre­scinde da come viene finanziata: dai contribu­ti o dai trasferimenti dello Stato. Del resto, il bilancio della gestione degli interventi (Gias) è in assoluto pareggio. Lo Stato quindi copre interamente con propri trasferimenti quanto la legge mette a suo carico. Il concetto di assi­stenza non appartiene al diritto naturale, ma sono prestazioni assistenziali quelle definite tali dalla legge. Se fosse consentito non tener conto degli oneri per le prestazioni finanziate dallo Stato quei Paesi che hanno dei sistemi di base a carico della fiscalità generale sareb­bero abilitati a dichiarare che a loro le pensio­ni non costano». M. M.