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 2009  settembre 16 Mercoledì calendario

«In Italia dob­biamo avere pazienza. Quando in un Paese il Pil cala del 6 %, le cose sono più difficili per tutti, quindi anche per le nostre televisioni

«In Italia dob­biamo avere pazienza. Quando in un Paese il Pil cala del 6 %, le cose sono più difficili per tutti, quindi anche per le nostre televisioni. E poi, dove funzionano le regole del­la concorrenza, lavorare è più faci­le. Se, invece, tutto dipende dal­l’autorità regolatrice, i problemi che ci troviamo davanti, anziché raddoppiati, sono addirittura tri­plicati. Detto questo, l’Italia rima­ne per noi un grande mercato e so­no convinto che la situazione non rimarrà a lungo quella attuale. Pri­ma o poi le cose cambieranno: noi, comunque, non molliamo». Rupert Murdoch finisce parlan­do proprio dell’Italia il suo lungo incontro con la comunità finanzia­ria a ’Communcopia’, la conferen­za organizzata ogni anno dalla banca Goldman Sachs per tastare il polso del grandi ’corporations’ della comunicazione: dalle reti te­levisive Usa ai giganti delle teleco­municazioni, da Baidu.com, lea­der del mercato cinese della ricer­ca su Internet, davanti a Google, fi­no alla News Corp di Murdoch. Il gruppo dell’editore australiano è il più globale dei giganti della co­municazione con le sue reti televi­sive negli Usa (Fox), in Europa (Sky), le presenze in India, Cina e Australia, un ’impero’ di carta stampata che copre tre continenti, Internet (con MySpace) e i film della «20th Century Fox». Per que­sto il vecchio «tycoon» è il perso­naggio più atteso dagli analisti e dai pochi giornalisti ammessi alla conferenza. Lui arriva, gira, curio­so, per le salette del convegno, ascolta in piedi l’intervento di Jeff Zucker, l’oratore che lo precede. Il capo della Nbc, la tv della General Electric, sta descrivendo la fatico­sa «risalita dagli inferi» del merca­to della pubblicità: «Dopo mesi du­ri, per la prima volta vediamo se­gnali positivi: anche l’industria dell’auto, che si era fermata, rico­mincia a presentare i nuovi model­li ». Anche Murdoch inizia parlan­do di congiuntura: «Non sono un economista, ma, da quello che ca­pisco, dopo il crollo avremo una breve impennata seguita da una lenta risalita. Da novembre a giu­gno è stata dura. Siamo andati avanti col freno tirato. Da luglio abbiamo ricominciato a vedere la luce: pubblicità in ripresa in tv ma anche sui nostri giornali, salvo il Sunday Times . Fox ha ridotto le ta­riffe degli spot solo dell’1% e per quelli delle trasmissioni di intrat­tenimento abbiamo già il tutto esaurito fino a fine anno». Allora – lo provoca Mark Wienkes, l’analista e vicepresiden­te di Goldman che dialoga con lui – ha ragione chi dice che dovreb­be ribattezzare il suo gruppo ’En­terteinment Corp’. Con le ’news’, le notizie, si guadagna poco... Il vecchio editore scatta come una molla: «Al contrario. Se la sai gesti­re bene l’informazione rimane as­sai redditizia. Guardi cosa stiamo facendo col Wall Street Journal. Certo, bisogna essere rapidi, capi­re i cambiamenti delle tecnologie e del mercato. Ben presto chi leg­ge il Wall Street sul Blackberry o sull’iPhone (oggi gratis) pagherà due dollari a settimana, uno se è abbonato all’edizione di carta. E’ poi c’è l’evoluzione verso i nuovi lettori digitali che sostituiranno gradualmente la carta». Murdoch boccia il Kindle di Amazon, al qua­le preferisce il lettore della Sony (con la quale la sua società ha un accordo). Spiega che a Natale arri­verà una versione più adatta ai giornali, ma anche che in futuro le novità tecnologiche saranno conti­nue: «Da Hewlett Packard a Fujit­su non c’è un grande produttore mondiale che non stia lavorando ai ’reader’ di giornali su schermo digitale. Inchiostri elettronici, schermi di plastica, lettori flessibi­li: ci vorrà tempo, anche 20 o 30 anni, ma alla fine il giornale vivrà – e guadagnerà – soprattutto in formato digitale. Senza carta, rota­tive e sindacati. Noi ci stiamo già preparando: il Wall Street Journal aveva 17 impianti di stampa. Ne stiamo chiudendo 7 dando la pro­duzione in ’outsourcing’.