Mattia Feltri, La Stampa 16/09/2009, 16 settembre 2009
Tutti distratti, con la testa ai festini di palazzo o alle festone di partito, nessuno s’era accorto che Silvio Berlusconi, per celebrare «con orgoglio questo anniversario straordinario», e cioè i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, mercoledì scorso, dal palco di Atreju, ha consigliato la lettura di un libro che difficilmente potrebbe essere catalogato nella storiografia ufficiale e ortodossa
Tutti distratti, con la testa ai festini di palazzo o alle festone di partito, nessuno s’era accorto che Silvio Berlusconi, per celebrare «con orgoglio questo anniversario straordinario», e cioè i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, mercoledì scorso, dal palco di Atreju, ha consigliato la lettura di un libro che difficilmente potrebbe essere catalogato nella storiografia ufficiale e ortodossa. E siccome «a molti la storia è stata raccontata in maniera diversa dalla realtà», il premier suggerisce Risorgimento da riscrivere, uscito nel 1998 dalle Edizioni Ares e scritto da Angela Pellicciari. A notare la stranezza è stato Pierluigi Battista sul Corriere della Sera: il lavoro della Pellicciari - che sul tema consiste in una mezza dozzina di volumi - giunge a una conclusione coraggiosa anche perché esplicita: «Il processo storico di unificazione si è svolto contestualmente a una vera e propria guerra di religione condotta nel Parlamento di Torino - dove tra i liberali siedono i massoni - contro la Chiesa cattolica». «Berlusconi con una sola frase ha fatto fuori centocinquant’anni di storia ufficiale. E’ un’operazione culturalmente enorme. E’ incredibile: Berlusconi è un personaggio che esce da qualsiasi schema, e mentre celebra il Risorgimento in realtà ne distrugge il mito», dice ora Angela Pellicciari, che vorrebbe tanto sapere «chi abbia mai parlato del mio libro a Berlusconi». Perché le tesi della storica non si riducono a condurre i moti a una crociata contro il potere temporale della Chiesa, per abbatterne la spiritualità, ma anche allo stravolgimento di quello che tutti noi abbiamo imparato a scuola. E quindi: la vera cultura italiana è cristiana, dall’arte all’architettura, alla letteratura, e il Risorgimento («basta guardare quell’orrore dell’Altare della Patria») ne ha fatto macerie, espropriando i beni, abbattendo chiese, vendendo cimeli, fondendoli; il Risorgimento, con l’estensione sul territorio italiano della forte tassazione sabauda, con la leva obbligatoria e con l’abolizione delle misericordie, ha trasformato il nostro da Paese di solidali a Paese di migranti; i garibaldini, a cominciare da Garibaldi, non furono eroi o soltanto eroi ma guerriglieri feroci; le finanze borboniche, a differenza di quelle piemontesi, erano sane e la loro amministrazione equa, e il conte di Cavour avrebbe avuto da imparare da Ferdinando II. Angela Pellicciari - che ha sessantuno anni e ha scritto per Libero, per Avvenire, per Tempi, per il Foglio, che tiene una rubrica a Radio Maria - è cattolica fervente e si irrigidisce se le si chiede della fede, visto che «niente ha che fare col mio lavoro di storica». Per di più giura che nulla le importa se l’uscita di Berlusconi darà altra benzina al suo libro, poiché «quello che mi preme è che si racconti la storia vera. E’ nell’interesse di tutti». E siccome si è esercitata pure sulla Padania, ci tiene a precisare che lei non baratterebbe l’Unità d’Italia con nulla, e semmai le dispiace che oggi «ci manchi il senso di unità nazionale, che avevamo fino al 1861 grazie allo spirito cristiano, poiché il nostro senso di appartenenza è basato su una storia falsa. Eppure mai un presidente del Consiglio democristiano si era spinto a un gesto che invece si è riservato Berlusconi». Insomma, non è come Giuseppe Tornatore, non s’offende. Sarà che non ha rapporti col mondo accademico, sarà che nel 2006 fu accusata di razzismo prossimo al negazionismo per aver sottoposto ai suoi studenti di un liceo di Roma i testi di Adolf Hitler, convinta che la storia si studi dalle fonti, e intervennero i ragazzi, e specialmente una ragazza ebrea, per restituirle l’onore. E sarà che i suoi libri, contestabili come tutti i libri, hanno il pregio di essere documentati e di contenere pagine e pagine di note, che non soltanto indicano una preparazione solida ma spesso sono la discriminante, nel Gotha dei colti, fra l’opera divulgativa e quella scientifica. E dunque rimane una domanda: se la storia vera è quella che racconta lei, perché rimane così di nicchia? Perché il suo è un revisionismo residuale? «Perché bisognerebbe chiedere scusa alla Chiesa e al 98 per cento della popolazione che allora era cattolica». E le élite, minoritarie, facevano e disfacevano allora come oggi. Sarà questo che ha solleticato il premier?