Guido Barbujani, la Stampa 16/09/2009, 16 settembre 2009
Quando noi Sapiens eravamo tutti africani - C’è un messaggio nelle nostre cellule. Ci viene da lontano, dai milioni di antenati che ci hanno tramandato attraverso le generazioni il loro Dna
Quando noi Sapiens eravamo tutti africani - C’è un messaggio nelle nostre cellule. Ci viene da lontano, dai milioni di antenati che ci hanno tramandato attraverso le generazioni il loro Dna. Questo messaggio, tecnicamente semplice da leggere, ma ancora complicato da interpretare, ci sta aiutando a capire perché ci ammaliamo o non ci ammaliamo, perché ad alcuni certi farmaci fanno bene e ad altri no. Ma c’è di più: nel Dna sono racchiuse preziose informazioni sulla nostra storia remota, su come in 60 mila anni o giù di lì un piccolo gruppo di africani ha colonizzato il pianeta. Lo studio dei fossili dimostra che è una storia cominciata in Africa, forse 6 milioni di anni fa, quando si sono separati i destini di due gruppi di scimmie che col tempo si sarebbero evoluti in due specie moderne, lo scimpanzé e l’uomo. Da allora sono apparse molte forme umane differenti, delle quali solo una, la nostra, è sopravvissuta. Ma ci sono domande a cui i fossili faticano a rispondere. Centomila anni fa gente come noi, con uno scheletro come il nostro, stava solo nell’Africa dell’Est. Ma anche in Europa vivevano esseri umani, per quanto avessero uno scheletro e una cultura diversi dai nostri: i neandertaliani. E in Asia c’erano altre due forme umane. Cosa è successo a questi nostri parenti? Oggi, almeno per quanto riguarda i neandertaliani, sappiamo che il loro Dna era diverso dal nostro, così diverso che non possono essere stati i nostri antenati: si sono estinti al nostro arrivo dall’Africa. Loro erano gli europei; noi, che ci siamo stabiliti a casa loro, siamo gli africani. Confrontando i Dna delle popolazioni moderne, e con l’aiuto di archeologi e linguisti, ci siamo fatti un’idea precisa di quello che è successo in seguito. Le stime più recenti collocano l’uscita dall’Africa fra i 60 e i 50 mila anni fa. Gente come noi, il cui Dna è ancora nelle nostre cellule, ha raggiunto l’attuale Cina in fretta, e circa 40 mila anni fa anche l’Europa. Nel giro di poche migliaia di anni, le altre forme umane sono scomparse, mentre l’uomo moderno, l’Homo sapiens sapiens, si espandeva a Sud verso l’Australia, a Nord verso la Siberia, per raggiungere da lì le Americhe meno di 20 mila anni fa. Non possiamo aspettarci di capire tutto: la storia dell’umanità è stata complicatissima; probabilmente di molti fenomeni, della colonizzazione di intere regioni, e magari della successiva scomparsa dei colonizzatori, non è rimasta traccia. Ma proprio per questa grande complessità sono fondamentali le conoscenze che possiamo ricavare dal Dna, delle sue differenze nelle diverse popolazioni. Queste differenze sono piccole (il 99,9% del Dna è identico in tutti noi), ma sono importanti, e sono distribuite sulla Terra in modo continuo, senza confini biologici netti. per questo che classificare l’umanità in razze è impossibile: non perché siamo geneticamente tutti uguali (non lo siamo), ma perché non ci sono confini, cioè siamo così diversi che tracciare sulla carta geografica linee che separano i neri dai bianchi e dai gialli, o quelli col gruppo sanguigno A da quelli di gruppo B, si è rivelato impossibile. Siamo tutti parenti e tutti differenti, ha scritto il genetista André Langaney, ed è uno slogan che mi pare riassuma bene quello che si legge nel nostro Dna. Ma, a proposito, oggi si parla (e si straparla) di origini e identità, e qui il Dna può aiutarci a non perdere la bussola. Non solo ogni popolazione, ma anche ognuno di noi, è un mosaico di Dna differenti, e in genere i pochi individui antichi studiati finora hanno rapporti di parentela molto limitati con quelli che oggi vivono negli stessi posti. Ci sono eccezioni: il Dna dei sardi dell’Ogliastra è simile a quello degli abitanti nuragici dell’isola; ma basta spostarsi in Gallura, perché questa somiglianza scompaia. Insomma, il Dna ci dice che l’umanità non sta e non è mai stata ferma: la migrazione è la regola, non l’eccezione. Gli antenati recenti di ciascuno di noi stavano un po’ dappertutto e quelli più antichi venivano dall’Africa. Le nostre differenze sono scritte in minima parte nei geni; cosa voglia dire essere italiani e che diritti debba avere chi vive in questo Paese, essendoci nato od essendoci immigrato, è una domanda a cui il Dna risponde con chiarezza che non fa differenza, che siamo tutti immigranti.