Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 15 Martedì calendario

Norman Mailer recensore: Nessuna pietà per i colleghi - Truman Capote Truman Capote non lo conosco bene ma mi piace

Norman Mailer recensore: Nessuna pietà per i colleghi - Truman Capote Truman Capote non lo conosco bene ma mi piace. acido come una prozia ma a suo modo è un tipetto con i controcoglioni, ed è lo scrittore più perfetto della mia generazione. Scrive le frasi migliori: parola per parola, ritmo su ritmo. Non cambierei nulla in Colazione da Tiffany, che diventerà un piccolo classico. Capote non ha ancora dato nessuna prova di prendere seriamente le profonde risorse del romanzo e i suoi racconti sono troppo spesso dolciastri. Al suo peggio, egli ha meno da dire di qualsiasi altro scrittore che io conosca. Ho il sospetto che esiti a scegliere fra le attrazioni della società che se lo gode e lo ripaga per le sue doti uniche, e il romanzo che potrebbe scrivere sulla vera vita della mondanità, un lavoro di prima importanza ma che gli chiuderebbe per sempre l’accesso al suo mondo preferito. Dato che non ho nulla da perdere spero che Truman riesca a tirar fuori i suoi numeri migliori. Jack Kerouac A Kerouac mancano disciplina, intelligenza, onestà e senso del romanzo. I suoi ritmi sono irregolari, il suo senso del personaggio è pari a zero, ed è pretenzioso come una puttana ricca e zuccheroso come un leccalecca. Eppure credo che abbia un notevole talento. La sua energia letteraria è enorme, ha avuto abbastanza acume da non contraddire i propri istinti e così è diventato la figura di spicco di una nuova generazione. Quando è al meglio, il suo amore per il linguaggio possiede un flusso estatico. Per giudicare il suo valore è meglio dimenticarsi che è un romanziere e vederlo invece come un pittore non figurativo o un bardo. Ha un talento medievale, è un narratore di frenetiche storie di corte per le orecchie di un Re defunto, e negli anni della James Madison’s Avenue egli è stato un pioniere. Per un certo tempo ero preoccupato che fosse una forza della destra politica che potesse mettere lo hip in difficoltà, ma quando lo incontrai mi piacque più di quanto mi fossi aspettato e sentii che era stanco. D’altronde, come potrebbe non esserlo, avendo viaggiato in un mondo in cui l’adrenalina divora il sangue. Saul Bellow Saul Bellow conosce il significato delle parole, ma trovo il suo stile ostinato e innaturale. Il ritmo della sua scrittura procede a strappi. In Augie March (che è tutto quello che conosco del suo lavoro) c’erano elementi originali e una o due parti forti ma, nei momenti peggiori, il romanzo sembrava un libro di viaggi per intellettuali timidi e così non riesco a prenderlo seriamente come romanziere di primo piano. C’è in lui una sorprendente e quasi psicotica mancanza di responsabilità per le situazioni che crea, e le sproporzioni della sua narrativa sono di un’anomalia elefantiaca. Questo non è un giudizio personale, poiché ci siamo incontrati solo una volta per caso e avemmo una conversazione piuttosto futile che non mi spinse in seguito né a ricordarlo, né a sezionarlo come uomo. J.D. Salinger Salinger è il preferito di tutti. Sembra che solo io lo consideri niente più che il miglior cervello che abbia mai frequentato un liceo privato. Ciò che riesce a fare lo fa bene, e in modo originale, ma in fondo non è molto brillante vivere in un campus dove i bulli picchiano sempre quelli deboli ma sensibili. Non vedo come Salinger possa emergere presto nel campo di battaglia di un romanzo di spicco. Naturalmente è probabile che causa di questa opinione non sia niente di più grazioso che l’invidia. Salinger ha avuto la saggezza di scegliersi soggetti a lui adatti, mentre io certamente non l’ho avuta. Ma dato che il mondo si trova oggi in uno stato di profondo disagio, non so se questa sua saggezza sia anche onorevole. Gore Vidal Gore Vidal è uno dei pochi romanzieri che conosco in possesso di una buona formazione mentale. Una volta passammo un’ora a parlare del mio dramma tratto da Il parco dei cervi e mi fece la migliore critica che io abbia mai ricevuto da un concorrente: incisiva, obiettiva e con un grande fiuto per quanto c’era di fiacco o di non sufficientemente sviluppato. La cosa migliore fu che egli giudicò il dramma nei suoi termini intrinseci e lo criticò nel suo contesto, invece di sprecare tempo in un fuoco d’artiglieria e di sbarramento circa l’alta estetica del teatro. Poiché le sue osservazioni mi risultarono utili, ed egli sapeva che avrebbero migliorato il lavoro, pensai che fosse da parte sua un comportamento generoso e più che corretto. Ma da quella volta ho visto in lui aspetti non troppo simpatici, e non credo di poterlo definire un amico. Se ne parlo non è per far commenti sul suo carattere, ma per ristabilire l’equilibrio. Non penso di dovergli un favore, e pertanto i miei commenti sulle sue opere possono essere considerati più o meno oggettivi. Non che io abbia la parola definitiva da dire, ma mentre la mole considerevole del suo lavoro (il più copioso della mia generazione) non conta ancora un solo romanzo che sia più che mediocre (perlomeno per quel che riguarda quelli che io ho letto), ha sviluppato una grande varietà di stili e ha continuato a sperimentare. Nei saggi, dove offre il meglio di sé, rivolge spesso la propria coraggiosa e raffinata arguzia contro gli unguenti della sugna nazionale. Ma nella narrativa sembra che gli sia difficile creare un paesaggio abitato da persone vere. Quando è al suo peggio diventa il carceriere di se stesso e rimane imprigionato nelle sfumature regressive delle proprie esplorazioni narcisistiche, che non gli scavano dentro abbastanza e si esauriscono pertanto in gesti e atteggiamenti esteriori. Ma se non perderà la determinazione, Vidal potrebbe ancora diventare molto importante, poiché possiede il primo requisito di uno scrittore interessante: non si può prevedere in che direzione andrà. Tuttavia non posso fare a meno di suggerire che egli ha bisogno di una ferita che volga l’orgoglio del suo distacco verso nuove percezioni. Le donne Ho una confessione terribile da fare: non ho nulla da dire su nessuna scrittrice contemporanea di talento. Credo di non essere capace di leggerle, ed è senza dubbio colpa mia. In realtà dubito che ci sarà una scrittrice veramente eccitante fino a che una puttana non diventerà una ragazza squillo e ci racconterà la propria storia. Con il rischio di farmi una decina di nemiche dichiarate per il resto della mia vita, posso solo dire che le fiutate che tiro su dall’inchiostro delle donne sanno di morte vicina, roba vecchia, stranezze gentili, di limitato, di troppa psicosi da lesbiche, di deforme, viscido, alla moda, frigido, esternamente barocco, maquillé alla maniera capricciosa della mannequin, o altrimenti di brillante e nato morto* (Pur riluttante a intaccare l’autorità di questo verdetto, devo ammettere che leggere i primi lavori di Mary McCarthy, Jean Stafford e Carson McCullers mi aveva dato un certo piacere, nda). Poiché non sono mai riuscito a leggere Virginia Woolf, e a volte sono disposto a credere che potrebbe anche essere colpa mia, questo verdetto può essere preso a buon diritto come lo sproloquio malefico di un gusto inasprito, perlomeno da quei lettori che non condividono il mio assunto di partenza: cioè che un buon romanziere può fare a meno di tutto tranne che di quello che ha nelle palle. Se poi aggiungo che il poco che ho letto di Herbert Gold mi fa pensare più che altro a una scrittrice, be’ non credo di dovermi occupare ora di conoscenze di questo genere.