Varie, 15 settembre 2009
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Borlaug Norman
• Cresco (Stati Uniti) 25 marzo 1914, Dallas (Stati Uniti) 12 settembre 2009. Agronomo. Premio Nobel per la Pace 1970 • «Da grandissimo scienziato qual era [...] probabilmente non credeva ai miracoli, ma se c’è qualcuno sulla Terra che ha fatto qualcosa di molto simile a un miracolo è stato proprio lui. Gesù moltiplicò i pani e i pesci, il padre della “rivoluzione verde” dell’agricoltura ha fatto raddoppiare nel giro di pochi anni la produttività dei raccolti di grano e mais in nazioni ciclicamente devastate dalle carestie come Messico, India e Pakistan. Gesù resuscitò Lazzaro, Borlaug, stando ad alcune stime, ha salvato dalla morte per fame quasi un miliardo di persone. [...] il suo contributo al progresso e al benessere resterà scolpito per sempre nella storia dell’umanità, anche se negli ultimi tempi si sono levate diverse voci critiche sull’eredità lasciata dalle sue innovazioni su ambiente e popolazioni locali. Nato in una fattoria dell’Iowa da una famiglia norvegese, Borlaug ha trascorso tutta la sua vita nello sforzo di migliorare scientificamente le qualità dei principali cereali, incrementandone resistenza, rese e contenuto proteico. Uno sforzo coronato oltre che dai risultati sul campo anche dal premio Nobel per la Pace vinto nel 1970. La prima importante battaglia la combatté nel 1944 quando fu incaricato dall’amministrazione statunitense di trovare rimedi all’epidemia della ruggine del grano che minacciava di diffondersi dal Messico alla grain belt americana. La soluzione fu la messa a punto, attraverso un meticoloso lavoro di breeding, di una varietà di frumento in grado di resistere al micidiale patogeno. Da quella prima scommessa vinta, le sfide affrontate successivamente dall’agronomo sono state molte. “Come tutte le grandi scoperte, anche quella di Barlaug si deve a poche ma geniali intuizioni”, spiega Norberto Pogna, direttore dell’Istituto sperimentale per la cerealicoltura, l’organismo pubblico che coordina la ricerca di cui l’americano fu maestro. “Il suo lavoro si concentrò su incroci con varietà che dessero alle piante caratteristiche di resistenza, sia ai patogeni che alle avversità climatiche: siccità, piogge intense, colpi di vento che provocano l’allettamento del grano e il tracollo nei raccolti”, ricorda ancora Pogna. Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta i miglioramenti introdotti in agricolture ancora di sussistenza come Messico, India e Pakistan furono straordinari, portando a una netta diminuzione delle carestie e delle morti per fame. Grazie a quelle innovazioni oggi la redditività media di un ettaro di terra fertile coltivata a grano è di circa 100 quintali, contro i 18 di inizio ’900. Un risultato eccezionale, ma il merito non fu tutto di Borlaug, anche se oggi sono in pochi a ricordarsene. A rendere possibile il primo raddoppio nei raccolti nella prima metà del secolo fu infatti Nazareno Strampelli, un pioniere italiano del breeding. In piena epoca di autarchia, spinto dalle esigenze della “battaglia del grano” mussoliniana, lo scienziato marchigiano riuscì ad ottenere successi straordinari. Le sue varietà e suoi incroci si diffusero presto in tutto il mondo, portando la media delle rese attorno ai 40 quintali. “Strampelli - ricorda ancora Pogna - era uno straordinario artigiano e il suo contributo resta fondamentale, ma Borlaug portò avanti quegli stessi obiettivi in maniera professionale, potendo contare per le sue ricerche su importanti capitali”. Avere avuto alle spalle la Rockfeller institution per l’agronomo americano è stata però un’arma a doppio taglio che negli ultimi anni lo ha costretto a difendere la “rivoluzione verde” dalle ripetute accuse di aver aperto la strada alle multinazionali delle sementi e dei pesticidi, diffondendo le monocolture nemiche dell’ambiente e delle economie locali. Accuse alle quali Borlaug era solito rispondere come rispondeva ai nemici degli Ogm, l’ultima frontiera della sua scienza: “La storia della Terra e lo sviluppo dell’uomo si basano sugli organismi geneticamente modificati. I rischi dell’oggi, se rischi ci sono, devono essere messi sul piatto della bilancia assieme a milioni di vite salvate. Sono il male minore che evita a milioni e milioni di persone nel mondo di morire di fame, il punto è che la ricerca deve essere affidata a centri pubblici e non a privati”» (Valerio Gualerzi, “la Repubblica” 15/9/2009).