Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 15/09/2009, 15 settembre 2009
L’ascolto, via italiana (e facile) alla lettura - La tarda estate è il tempo dei festival. Non solo Mantova
L’ascolto, via italiana (e facile) alla lettura - La tarda estate è il tempo dei festival. Non solo Mantova. In poco più di dieci giorni, una slavina di mail zeppe di comunicati stampa al riguardo si rovescia nella posta elettronica del giornalista culturale. A Sarzana il Festival della Mente, a Pavia il Festival dei Saperi, a Modena il Festival della Filosofia, a Carrara il Festival sull’Interculturalità, a Varese il Festival del Racconto, a Mandas (Cagliari) il Festival della Letteratura di viaggio, a Potenza «Vino e letteratura si incontrano», a Bellinzona «Babel» su letteratura e traduzione, a Roma la Festa dell’Architettura, a Vittorio Veneto il Festival «Comoda-mente », a Civitanova Marche «Pensieringioco», a Pordenone «Pordenonelegge», a Lerici «Lerici legge il mare», a Monticello Brianza «La Passione per il delitto», a Bologna il Festival del Libro d’arte, e si potrebbe continuare. Da qualche anno, l’ascolto è la nuova via italiana alla lettura: più semplice, più rapida, più piacevole. Un grande critico come Ezio Raimondi è andato a Mantova – forse risultando involontariamente provocatorio – per dire che esistono i lettori turistici e i lettori pellegrini (ne ha riferito Maurizio Cecchetti domenica su «Agorà» dell ”Avvenire ): «Leggere non è solo delectatio , ma anche osservatio . Il lettore non è un turista del libro, ma un pellegrino che si muove per raccogliere le ragioni del suo leggere. Egli trattiene le parole e le mette alla prova dentro di sé, deve farne esperienza, far sì che il testo gli appaia come paesaggio familiare. Leggere è penetrare nel profondo delle cose e di se stessi». obiettivamente difficile che tutto ciò accada in un festival. E sarebbe assurdo chiederglielo. In un libro molto interessante intitolato Proust e il calamaro (appena uscito presso l’editore Vita e Pensiero, sottotitolo: Storia e scienza del cervello che legge), la neuroscienziata Maryanne Wolf ci ricorda che Socrate diffidava della scrittura. Secondo il filosofo greco, la parola scritta comportava gravi rischi per la società poiché il suo «statico mutismo» avrebbe annullato le potenzialità dialettiche della lingua, che invece venivano esaltate dall’oralità («lingua viva»). Inoltre, sempre secondo Socrate, l’alfabetizzazione avrebbe distrutto la memoria e sottratto al giovane, nell’atto di leggere individualmente, la possibilità di essere guidato da un maestro. Sono passati duemila e cinquecento anni: nel frattempo, le potenzialità dialettiche della parola orale sono state definitivamente annientate dai talk show e neanche un Socrate redivivo riuscirebbe a riesumarle, figurarsi che cosa possono fare «Pensieringioco» e «Comoda- mente». Ma gli ultimi due timori socratici tornano indubbiamente d’attualità nella nuova fase di alfabetizzazione (digitale) che stiamo vivendo: la memoria e la selezione critica. Maryanne Wolf dimostra come questo passaggio incida, prima ancora che sulla storia della cultura, sui circuiti neuronali del nostro cervello. Il che, in una società consapevole, dovrebbe sollevare qualche interrogativo etico.