Michele Brambilla, la Stampa 15/09/2009, 15 settembre 2009
Modello Inter tra i banchi - A San Siro un’elementare con 97 allievi: gli italiani sono solo quattro - La scuola che manda in crisi l’idea di Padania e forse anche i progetti del ministro Gelmini è a Milano in via Pier Alessandro Paravia: una strada a poche decine di metri dallo stadio intitolato a Giuseppe Meazza
Modello Inter tra i banchi - A San Siro un’elementare con 97 allievi: gli italiani sono solo quattro - La scuola che manda in crisi l’idea di Padania e forse anche i progetti del ministro Gelmini è a Milano in via Pier Alessandro Paravia: una strada a poche decine di metri dallo stadio intitolato a Giuseppe Meazza. A percorrere questa via, a guardare le case e i negozi, non sembrerebbe neanche tanto lontano quel tempo - quasi quarant’anni fa - in cui Roberto Vecchioni ambientò in questo quartiere il suo inno d’amore a Milano: «Luci a San Siro». Per dire: c’è solo un negozio etnico, una macelleria con l’insegna bilingue, italiano e arabo; ma l’autoscuola si chiama «stadio» e l’agenzia di assicurazioni «Milano». Il cartolaio è sempre il signor Manfredi, un’istituzione, i primi bambini a cui ha fornito astucci e matite oggi sono padri di famiglia e non abitano più qui. Ci sono ancora i viali alberati di allora, anche se da un pezzo non scende più la nebbia del gioco di Vecchioni, tu ti nascondi e se ti trovo ti amo là. Ma il tempo qui è emigrato davvero: guardando alla scuola di questo quartiere, la proposta di un esame di dialetto per gli insegnanti appare grottesca e il tetto di un trenta per cento massimo di studenti stranieri irrealizzabile. L’elementare statale «Lombardo Radice» di via Paravia 83 ha infatti 97 bambini e solo quattro sono italiani. A dire il vero non c’è neanche certezza sui numeri perché la direttrice, Agnese Banfi, ieri ha dato ordine tassativo di respingere i giornalisti: «Se parlo - dice una bidella - mi strozza». Ma che gli italiani non siano più di quattro non c’è dubbio. Sembrava che fossero solo tre, e che da quest’anno la prima elementare fosse come quell’Inter che gioca qui accanto: tutti stranieri. Ma a luglio un bimbo italiano è arrivato da chissà dove a piantare una bandiera. I numeri filtrano dalle confidenze dei genitori che aspettano all’uscita del primo giorno di scuola: prima elementare, un italiano su sedici; seconda elementare, uno su quattordici; terza elementare, zero su un numero imprecisato; quarta elementare, due su ventiquattro; le quinte sono due, e gli alunni sono tutti stranieri. C’è stato un altro tempo in cui a San Siro - uno strano quartiere, dove le case dei ricchi non sono lontane da quelle popolari - nelle scuole arrivavano i figli degli immigrati. Erano i primi Anni Sessanta. Sembra impossibile ma allora per molti italiani del Nord quelli del Sud erano davvero come stranieri. A Torino li chiamavano «i Napoli», a Milano «gli Africa». Qualche mamma chideva con discrezione alla maestra quanti meridionali erano previsti in classe. L’integrazione era anche unire tutti con un canto: «La bandiera del tricolore/ è sempre stata la più bella/ noi vogliamo sempre quella/ noi vogliam la libertà». Oggi sarebbe complesso trovare un canto patriottico comune: i 97 bambini della «Lombardo Radice» di via Paravia sono di ventisette nazionalità diverse. Avete letto bene: ventisette. Eppure è proprio vero quel vecchio detto: quando si comincia a conoscere, si finisce di odiare. Bisogna vedere i bambini, bisogna parlare con i loro genitori per verificare che può essere possibile vivere come se nessuno fosse straniero. I bambini parlano tutti italiano. Chi gestisce la scuola non è mai caduto né nella tentazione della discriminazione, né nel suo opposto che è il politicamente corretto. Chi non vuole mangiare il prosciutto, non lo mangia; chi lo vuole, ce l’ha. A Natale, all’ingresso, si fa il presepe, e nessuno si lamenta. Non si cede neppure sulle forme: un avviso della dirigente affisso sul cancello fa sapere: «Si informano i signori genitori degli alunni che frequenteranno la classe prima nell’anno scolastico 2009-2010 che il grembiule deve essere rigorosamente blu, sia per le femmine che per i maschi». Ma la singolarità, forse l’unicità di questa scuola è rivendicata con orgoglio da due manifesti all’ingresso scritti con lettere colorate dai bambini. Il primo dice: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di razza, lingua, religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Il secondo avverte: «La scuola è aperta a tutti». Vitaliano Bonomi e Lina Matrone sono gli unici genitori italiani che incontriamo all’uscita. Loro figlia Alessia fa la seconda elementare, i suoi compagni sono tutti stranieri. «Non ha mai avuto nessuna difficoltà», dicono mamma e papà. «Sono gli adulti ad avere paura. Per i bambini la convivenza è normale, un fatto naturale. Le difficoltà di integrazione? Dicerie». Mai pensato di togliere Alessia da questa scuola? «No, sarebbe una sciocchezza», rispondono. Anche la signora Sandra, maestra della seconda, assicura: «Non abbiamo nessun problema», e poi si scusa e scappa via, anche lei ha l’ordine di non parlare. Il riserbo della direttrice sembra incomprensibile, visto che la scuola ha davvero fama di modello ben riuscito. «Ha una lunga tradizione di convivenza tra bambini che vengono da culture e storie diverse - dicono i vecchi del quartiere - qui negli anni Sessanta stavano insieme i figli dei ricchi con quelli delle case popolari». Ma la realtà non è tutta così semplice: la scuola di via Paravia ha tanti bambini stranieri anche perché molte famiglie italiane del quartiere, se possono, mandano i figli alla elementari di piazza Sicilia. Nella zona popolare di San Siro gli italiani sono solo il 26 per cento. Dati e fatti che possono piacere o no, ma dati e fatti. Questa è Milano, questa è l’Italia di oggi. Sopra il portone della scuola «Lombardo Radice» c’è un vecchio stemma arrugginito della Repubblica italiana con una scritta, «scuola mista», concepita per esprimere un altro significato. Sopra, due bandiere - quella italiana e quella europea - che non rappresentano quasi nessuno degli alunni. O forse li rappresentano tutti.