Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 14 Lunedì calendario

Il cinema cerca i colpevoli per la delusione a Venezia - L’Italia era sbarcata in massa alla Mostra con 18 lungo­metraggi di cui 4 in concorso, ma ne esce a mani vuote

Il cinema cerca i colpevoli per la delusione a Venezia - L’Italia era sbarcata in massa alla Mostra con 18 lungo­metraggi di cui 4 in concorso, ma ne esce a mani vuote. Non si vince dal 1998, l’anno del poco fortunato Così ridevano di Gianni Amelio. Ep­pure Cannes in questi anni ha pre­miato Nanni Moretti, Garrone, Sor­rentino. A Venezia giusto il premio di consolazione a Jasmine Trinca come volto emergente, ma è fuori bersaglio («Una battuta comica» la definisce Castellitto) visto che La stanza del figlio è del 2001. Boccia­te le candidature più forti, Marghe­rita Buy come migliore attrice e Baarìa di Tornatore, che ora va al Festival di Toronto. «Siamo molto dispiaciuti per il mancato premio a Baària – dice Giampaolo Letta, amministratore delegato di Medu­sa che aveva 3 italiani in gara – ci speravamo, c’è delusione ma non sorpresa». Perché? «Fu una richie­sta di Tornatore, discussa e condivi­sa, quella di accettare l’invito per il film d’apertura, e in concorso». Co­me se Lucio Dalla andasse in gara al Festival di Sanremo. «Ha voluto esporsi al rischio, senza snobismi o protezioni. Detto da un regista del suo calibro...». «Lo dicevano tutti – interviene il presidente di Medu­sa Carlo Rossella – che avrebbe vinto Lebanon , del resto l’andazzo ai festival è di premiare i film di nic­chia. Il cinema italiano ne è rima­sto vittima anche se siamo contenti per Jasmine e per Ksenia Rappo­port che ormai è una russa italianiz­zata ». In effetti sono decine i premi, tra ufficiali e collaterali, per film di cui talvolta nessuno ricorderà il titolo: a Tornatore manco una citazione. «Meritava più rispetto – lo difen­de Michele Placido – nella giuria c’è sempre l’idea che bisogna pre­miare qualcosa di nuovo se non di sperimentale. E poi la contraddizio­ne del presidente Ang Lee: se dice che lui avrebbe dato un riconosci­mento, poteva farlo. Io riuscii a da­re un premo speciale a Crialese che era rimasto fuori dai giochi». Il ci­nema italiano ne esce ridimensio­nato? «No, il pubblico ci è affezio­nato, Il grande sogno è il secondo incasso di questi giorni». «C’era questa diffusa arroganza – dice Sergio Castellitto a Venezia con due lavori – che i film italiani dovessero vincere per forza. Eviden­temente no. C’è poco da fare. Io cre­do nelle buone intenzioni della giu­ria, rimettersi al tavolo e parlare di come viene finanziata la cultura nel nostro paese. Il cinema italiano non se la passa bene e non c’era bi­sogno di Venezia per saperlo». Car­lo Verdone a Venezia una sola pre­senza negli anni ”90 come giurato: «Non lo farò mai più, ho ricevuto 300 telefonate in una settimana per appoggiare questo o quel no­me, non ne potevo più, ho dovuto cambiare cellulare». Ma in gara? «Non ci penso minimamente, fino a quando ci sarà un sopracciglio al­zato sulla commedia non ci aiutere­mo mai. Ho vinto festival all’estero, cosa mi importa di rodermi il fega­to qui. Il cinema d’autore si deve scontrare con colossi che vengono da paesi lontani, fino a quando non guardano in maniera più inter­nazionale il mondo, saremo sem­pre a un livello condominiale. Il vin­citore, Lebanon , ha emozionato tut­ti. Noi non siamo un paese euro­peo che pensa in modo europeo, ciò non toglie che si possano fare buoni film con piccole storie, ma se porti un film a Venezia ti devi preparare come all’Olimpiade, non vai ai campionati di Rieti. Ci voglio­no temi forti. Venezia la dice lunga sul periodo che stiamo vivendo, de­ve riacquistare rigore anche negli ospiti, certi giorni la Mostra sem­brava una puntata di ’Verissimo’, Chavez, la D’Addario, Noemi, non distinguiamo più tra cultura e in­trattenimento. E quelli sono giorni dedicati in modo sacro al cinema». Giancarlo Leone, vicedirettore generale Rai e consigliere di Raici­nema: «Non rifarei l’errore di quan­do protestai per la mancata vittoria di Buongiorno, notte di Bellocchio. Non condivido le preoccupazioni; se Cannes è commerciale, Venezia è l’unico vero festival di arte cine­matografica. Purtroppo i nostri film hanno difficoltà a trovare una distribuzione internazionale». Riandiamo dall’amministratore delegato di Medusa. Letta, il mini­stro Renato Brunetta ha parlato dei «parassiti del cinema» dicendo che alla Mostra c’è «un’Italia placi­da e leggermente schifosa». «Ha fatto un’uscita virulenta che genera­lizza, non aiuta nessuno e offende tutto il cinema italiano. Ha ragione quando dice che ci sono alcuni pa­rassiti che non devono essere finan­ziati dallo Stato. Ma non si può ri­volgere un’accusa così generica». Pensa che su Baarìa abbia pesato il giudizio positivo espresso in ante­prima dal premier? «Berlusconi è un grande appassionato di cinema, trovo assurdo e indegno che non possa esprimere un giudizio. Dire che le sue parole possano aver in­fluito sul giudizio, non fa onore a chi lo dice, delegittima la Mostra e la giuria, che va rispettata. Basta strumentalizzare tutto con la politi­ca. Non posso credere che il giura­to indiano sia stato condizionato dal pensiero di Berlusconi sul no­stro film. La sortita antiberlusconia­na di Placido? Dai registi vorrem­mo lo stesso rispetto che abbiamo noi per loro». A proposito: il film di Michael Moore sul capitalismo? «Prima osannato e poi dimentica­to, non lascia tracce, dice cose già note, abbiamo cominciato a cono­scere le sue mistificazioni». Non è che torneremo allo stanco ritornello (interrotto da Gomorra e Il divo ) che il cinema italiano è in crisi? Sentiamo uno dei padri nobi­li, Carlo Lizzani: «Aspettiamo l’ac­coglienza del pubblico, con tutto il rispetto per la giuria veneziana. Non è più come negli Anni ”90. Si sono affacciati nuovi registi e pro­duttori indipendenti. Io sono otti­mista».