Guglielmo Epifani, La Stampa, 14/09/09, 14 settembre 2009
Non è troppo tardi per salvare consumi e aziende - A un anno di distanza dall’inizio del grande crollo dei mercati è evidente che la crisi si è manifestata con tre aspetti: quello finanziario, quello del calo della domanda di prodotti industriali e di servizi, quello della riduzione dell’occupazione
Non è troppo tardi per salvare consumi e aziende - A un anno di distanza dall’inizio del grande crollo dei mercati è evidente che la crisi si è manifestata con tre aspetti: quello finanziario, quello del calo della domanda di prodotti industriali e di servizi, quello della riduzione dell’occupazione. Oggi, a 12 mesi, il primo aspetto, sia pur lentamente, si sta assestando; il calo di domanda uscirà con lentezza dal pozzo in cui è precipitato; gli effetti del terzo aspetto, e cioè della riduzione dell’occupazione, li avremo per tutto l’autunno e il prossimo inverno. La prima cosa, quindi, che oggi va fatta è aiutare l’occupazione attraverso il sostegno del reddito, gli ammortizzatori sociali riformati, la formazione e la riqualificazione. In Italia mancano strumenti di difesa per quanti hanno perso il lavoro un anno fa e vedono terminare, dopo otto mesi, l’indennità di disoccupazione, per i tanti precari che non hanno avuto alcun sostegno ma anche per i cassaintegrati che non possono vivere così a lungo con 700 euro di integrazione al mese. Inoltre, il prolungarsi del calo della domanda (nei settori industriali siamo a -20%, -25%, -30%) comporta il fatto che proprio nel momento in cui la ripresa viene segnalata avremo i maggiori effetti sull’occupazione, con la chiusura di molte aziende, soprattutto piccole e piccolissime, che non ce la fanno a restare aperte per un periodo così lungo senza poter vendere i propri prodotti. Difendere il lavoro in Italia vuol dire anche avere obiettivi e strumenti di politica industriale e di sostegno agli investimenti. Solo la politica può oggi accompagnare una riqualificazione della base produttiva destinata all’esportazione, riequilibrare gradatamente ma con decisione il peso della domanda interna, avviare la riconversione all’economia sostenibile e soprattutto ripensare a una politica nei confronti del Mezzogiorno. Un’area del Paese così vasta e popolata non può restare ai margini del processo di ripresa: fino ad oggi il Sud è stato il grande dimenticato dalla politica e può diventare la grande, vera vittima di queste tensioni. Siamo quindi di nuovo a un passaggio decisivo nelle scelte di politica economica. Resto dell’opinione che il governo, pur non facendo scelte clamorosamente sbagliate, non abbia voluto sostenere né il consumo né gli investimenti come hanno fatto, invece, tutti gli altri Paesi europei. Oggi potrebbe e dovrebbe farlo e forse proprio ora che i segnali di ripresa timidamente si vanno dischiudendo, lo stimolo alla domanda e ai consumi potrebbe avere addirittura un effetto più positivo. In modo particolare dovrebbe essere usata la leva fiscale quale strumento importante per ridurre il peso delle tasse sul lavoro dipendente e sui pensionati. Sarebbe possibile finanziare una parte di questa operazione riprendendo la lotta all’evasione fiscale e con un intervento sulle rendite. Una riduzione fiscale sul lavoro avrebbe oggi tre vantaggi: sosterrebbe i consumi in una fase i cui sono ancora deboli, alleggerirebbe le tensioni contrattuali fra impresa e lavoro, aiuterebbe la coesione sociale, spingendo verso un atteggiamento di fiducia nel futuro. Sarebbe un segno forte, capace di rappresentare come pochi altri strumenti un vero spartiacque fra un prima e un dopo. Infine, poiché il passaggio dalla crisi al cambiamento sarà inevitabile e ben difficilmente lo scenario del sistema produttivo si presenterà uguale a prima del «terremoto», ci sarebbe bisogno di un rapporto più positivo fra mondo del lavoro e mondo delle imprese: ci vorrebbe una vera alleanza, invece di proseguire sulla strada della divisione prodotta dalla forzatura sulle regole contrattuali. Le imprese non chiudano, non licenzino i lavoratori, chiedano anch’esse la riduzione fiscale per il lavoro; il sindacato, da parte sua, si impegni a governare i processi di riorganizzazione aziendale e di cambiamento dei prodotti. Ma si eviti, in modo particolare, di chiudere le aziende al Sud e trasferirle al Nord o fuori dell’Italia: una tentazione della quale si cominciano ad avere alcuni preoccupanti segnali e che andrebbe subito corretta se non si vogliono provocare nuovi, pesanti guasti in un’area già molto fragile del Paese.