Philip Jenkins, Il Riformista, 08/09/09, 8 settembre 2009
Iraq, il dramma dei cristiani dimenticati - Anticipiamo, per gentile concessione dell’editore, un estratto del saggio di Philip Jenkins "Esuli da Babilonia: lamento per le Chiese d’Oriente", in libreria da domani 9 settembre con la rivista "Vita e Pensiero"
Iraq, il dramma dei cristiani dimenticati - Anticipiamo, per gentile concessione dell’editore, un estratto del saggio di Philip Jenkins "Esuli da Babilonia: lamento per le Chiese d’Oriente", in libreria da domani 9 settembre con la rivista "Vita e Pensiero". In diverse zone del Medio Oriente l’antica storia cristiana sembra essere giunta, quasi sotto i nostri occhi, a una sanguinosa conclusione. La catastrofe più drammatica degli ultimi anni è stata quella dei cristiani d’Iraq, che negli anni Settanta rappresentavano il 5-6% della popolazione irachena. Questa cifra oggi è inferiore all’1% e diminuisce velocemente di fronte alla persecuzione e alla "pulizia etnico-religiosa" in corso. I cristiani occidentali osservano questa storia con orrore, ma pochi manifestano una precisa conoscenza della situazione o possono riconoscere con facilità le vicende delle Chiese irachene di cui leggiamo sui giornali. Ci domandiamo se esse forse sono sopravvissute ad alcune iniziative missionarie dell’epoca vittoriana. In realtà comprendere la storia delle Chiese d’Iraq dovrebbe renderci più consapevoli della tragedia che vediamo svolgersi sotto i nostri occhi. Non solo queste Chiese - quella caldea, quella assira, quella ortodossa - sono veramente antiche, ma rappresentano i "resti" della storia più antica della Chiesa. Infatti per secoli la terra conosciuta come Mesopotamia ha assurto al rango di punto nodale della Chiesa e ha avuto uno stupefacente numero di missionari e di attività evangelizzatrici. Ciò cui noi assistiamo oggi in Iraq non è solo la morte di una Chiesa, ma anche la fine di una delle fasi più maestose della storia cristiana. La Mesopotamia fu davvero vitale per i primi cristiani dal momento che faceva nettamente parte dell’antico mondo civilizzato ed era collegata al Mediterraneo mediante fiorenti rotte commerciali mentre, al tempo stesso, restava estranea al potere politico dell’impero romano. Quando subirono persecuzioni in Siria o in Palestina, i primi cristiani iniziarono a spostarsi verso Oriente, dove si trovavano antichi nuclei ebraici stanziati a Babilonia. Le comunità che sorsero erano radicate nelle più antiche tradizioni della Chiesa apostolica. Attraverso la loro storia hanno usato la lingua siriaca, simile all’aramaico di Gesù, che chiamavano Yeshua. Quando l’impero romano divenne cristiano, la Mesopotamia iniziò a essere il principale rifugio per quelle correnti teologiche che l’impero, allora, dichiarava eretiche: i monofisiti o giacobiti, e i nestoriani. In fin dei conti la maggior parte dei cristiani dell’Iraq moderno guarda a uno di questi movimenti come al proprio antenato spirituale. Una volta al di fuori del panorama romano, i leader di quelle comunità erano liberi di stabilire i dogmi e le regole di vita delle loro Chiese. La principale Chiesa nell’impero persiano si stabilì nelle due città gemelle di Seleucia e Ctesifonte, eredi dell’antica Babilonia e i centri cittadini più popolosi del mondo allora abitato. Questa Chiesa seguì gli insegnamenti di Nestorio dopo il 431 [anno del concilio di Efeso, NdT] . Nel 498 il suo leader, il Katholikos, assunse il titolo di patriarca di Babilonia, cioè patriarca d’Oriente. Quando i musulmani, a loro volta, stabilirono il proprio regno, rovesciando i persiani, il Katholikos spostò la sua capitale a Baghdad. Il cristianesimo di lingua siriaca trovò il suo "feudo" in Mesopotamia, alle sorgenti dei fiumi Tigri ed Eufrate. (...) In termini di nazioni contemporanee, stiamo parlando della zona dove confinano l’attuale Iraq, la Turchia e la Siria, proprio là dove alcuni cercano di creare un nuovo Kurdistan. (...) Durante diversi secoli, le Chiese più importanti di queste zone divennero più famose di qualsiasi altra Chiesa dell’Europa cristiana, sebbene oggi in Occidente la loro storia sia quasi dimenticata. Dal IV al XIV secolo in Iraq hanno avuto sede diversi centri di erudizione e devozione cristiana. (...) Guardando al mondo della metà del IX secolo, pochi osservatori avrebbero avuto dubbi che il futuro del cristianesimo sarebbe stato in Medio Oriente o in Asia piuttosto che nelle lande infestate dai barbari dell’Europa occidentale. Nella misura in cui conoscono la storia del cristianesimo in Oriente, gli occidentali generalmente ritengono che queste Chiese sono sparite abbastanza in fretta dopo l’ascesa dell’islam durante il VII e l’VIII secolo. In verità, il declino avvenne in maniera molto più lenta; le chiese e i monasteri d’Iraq si sono espansi ancora abbastanza bene fino al XII e XIII secolo. Ciò che effettivamente spazzò via tali realtà furono le invasioni mongole, e le conseguenze che ne derivarono con devastazioni della maggior parte dell’Asia centrale e del Medio Oriente dal 1220 in poi. Inoltre, alla fine del XIII secolo, il mondo entrò in un’epoca terribile di raffreddamento globale, che lasciò la Terra molto più povera e vulnerabile. Una società disperata e affamata cercava capri espiatori. I cristiani d’Europa se la presero con gli ebrei, uccidendone ed espellendone centinaia di migliaia; in Mesopotamia e altrove i musulmani inflissero un destino simile ai loro vicini cristiani. Le comunità cristiane in Medio Oriente vennero sradicate e annientate, e cessarono di esistere nella maggior parte dell’Asia centrale. Le chiese dovettero chiudere o vennero distrutte, incluse quelle in centri antichi come Erbil, Mosul o Baghdad. I vescovi e il clero furono torturati e imprigionati. Il cristianesimo sopravvisse, ma venne confinato nelle regioni più povere e remote. I patriarchi di "Babilonia" finirono per dirigersi verso le colline, finché presero dimora nel monastero di Rabban Homizd, sulle montagne vicino a Mosul. Era finito lo splendente millennio dell’Iraq cristiano. La fase "finale" delle Chiese della Mesopotamia ha avuto avvio con la prima guerra mondiale, quando l’impero ottomano iniziò a perseguitare e poi massacrare i cristiani nei suoi territori. (...) La situazione non migliorò sotto gli Stati sorti sulle rovine dell’impero ottomano. Nel 1933 le forze musulmane nella nuova nazione irachena lanciarono un assalto mortale contro le comunità sopravvissute del popolo assiro. Le milizie sponsorizzate dal governo fecero "pulizia" proprio degli assiri nella maggior parte della zona nord dell’Iraq, uccidendone migliaia e radendo al suolo decine di villaggi. Queste stragi furono così atroci da dar vita a un nuovo vocabolario per definirle. Alcuni mesi dopo, l’avvocato ebreo polacco Raphael Lemkin utilizzò il caso degli assiri, e quello dei cristiani armeni prima di loro, per sostenere una nuova categoria legale del crimine di barbarie: «Atti di sterminio diretti contro collettività etniche, religiose o sociali qualunque sia il motivo (politico, religioso ecc.)». Grande promotore di cause umanitarie, Lemkin sviluppò questo tema negli anni seguenti e nel 1943 arrivò a coniare una nuova parola per questo comportamento atroce, precisamente il termine genocidio. Il concetto moderno di genocidio, come atto orribile che sollecita sanzioni internazionali, possiede le sue radici nei movimenti - di estremo successo - di sradicamento dei cristiani mediorientali. I cristiani vissero abbastanza bene sotto il governo laico e nazionalista del partito Ba’ath, che rifiutava il dominio islamico. Infatti, i cristiani, all’inizio, avevano dato il loro contributo nel fondare il Ba’ath e per lungo tempo sono rimasti tra i suoi più grande sostenitori. Il ministro degli Esteri di Saddam, Tariq Aziz, era membro della Chiesa caldea e portava il nome cristiano di Mikhail Yuhanna, cioè Michele Giovanni. Secondo alcune stime, il 20% degli insegnanti iracheni, così come molti dottori e ingegneri, erano cristiani. Ma gli eventi internazionali fecero il loro corso. L’economia nazionale venne devastata da due guerre, la prima contro l’Iran negli anni Ottanta, la seconda contro la Coalizione a guida statunitense nel 1990-1991, e dalle dolorose sanzioni internazionali che ne seguirono. Questi eventi provocarono la fuga di tutti quelli che potevano facilmente partire, cosa che interessò per lo più le classi sociali culturalmente più preparate, tra le quali i cristiani erano ben numerosi. La seconda invasione del 2003 è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ovvero lo scatenarsi delle milizie islamiche, sia sunnite sia sciite, mentre ogni altra autorità politica centrale era svanita. Nell’anarchia che ne è seguita, i cristiani sono diventati i primi bersagli delle folle e dei miliziani. (...) Tra il 2003 e il 2007 i due terzi dei restanti cristiani d’Iraq hanno abbandonato il Paese e il loro numero si abbasserà ulteriormente negli anni a venire, fino a svanire del tutto. Quello cui stiamo assistendo è la morte di una delle più grandi imprese cristiane del mondo. Certamente i suoi giorni di gloria sono molto lontani. Viene in mente quello che il poeta William Wordsworth scriveva quando la Repubblica di Venezia venne annichilita dopo secoli di dominazione nel Mediterraneo: «E se lei vedesse quelle glorie sbiadire, / Quei titoli sparire, quella forza decadere? / Si pagherà ancora qualche tributo di rammarico / Quando la sua lunga vita raggiungerà il suo ultimo giorno: / Siamo uomini, e dobbiamo rattristarci anche quando l’ombra / Di quello che è stato grande se n’è andata via». Potremmo forse piangere di meno sulle Chiese che scompaiono rispetto alle Repubbliche ormai defunte? (traduzione di Lorenzo Fazzini)