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 2009  settembre 14 Lunedì calendario

Troppe regole, poca pratica. Perché gli studenti non imparano mai l’inglese - Cosa significa per un ra­gazzo del 2009 non conoscere bene la lingua inglese, non padroneggiare un idioma che collega il mondo? «Vuol dire ritrovarsi come naufraghi nella civiltà contemporanea

Troppe regole, poca pratica. Perché gli studenti non imparano mai l’inglese - Cosa significa per un ra­gazzo del 2009 non conoscere bene la lingua inglese, non padroneggiare un idioma che collega il mondo? «Vuol dire ritrovarsi come naufraghi nella civiltà contemporanea. Cioè an­naspare in un mare dove l’inglese è il vero salvagente, anche se a mio av­viso non dovrebbe essere l’unico per­ché bisognerebbe apprendere anche altre lingue». Paola Giunchi è una affermata an­glista e insegna, all’Università roma­na de «La Sapienza», Didattica delle lingue moderne. Ovvero «insegna come insegnare» i linguaggi del no­stro tempo. Paola Giunchi, nemme­no a dirlo, condivide in pieno le tan­te preoccupazioni sulla sorte dell’in­glese in Italia, della sua scarsa diffu­sione tra le nuove generazioni. So­prattutto dopo le tre ordinanze cau­telari del Tar del Lazio che hanno so­speso la possibilità di chiedere cin­que ore settimanali, tutte per l’ingle­se, invece che tre più due per un’al­tra lingua comunitaria. Ma la professoressa non si limita a un lamento generico: «Il vero pro­blema non è tanto la quantità di ore di insegnamento nelle scuole medie e superiori. Il nodo è nel metodo ita­liano. Probabilmente per un’abitudi­ne legata alle lingue classiche, si con­tinua a privilegiare i processi di natu­ra dichiarativa rispetto a quelli di na­tura operativa. Ovvero si insiste as­sai tradizionalmente sulle regole astratte mettendo troppo spesso da parte l’uso autentico e pratico della lingua». In sostanza, sostiene Giunchi, l’in­glese viene trattato come il latino o il greco: «Capisco e ammetto che nei licei classici e scientifici possa pesa­re molto il ruolo delle materie uma­nistiche. Ma i professori di inglese non riescono a compiere il vero e più necessario sforzo, quello di calare la lingua nell’uso vivo e quotidiano. Invece una lingua moderna si assimila veramente quando la utilizzi come uno strumento che ti appartiene ». Un aneddoto: «Sento spesso amici genitori lamentarsi della povertà dei libri di testo di inglese nei licei. Mi viene detto: ’Come si imparano le regole quando le pagine so­no piene di dialoghetti’? Invece è proprio lì il principio della glottodi­dattica, cioè della nostra disciplina. La mia risposta è molto semplice: le regole diventano implicite quando si comincia a padroneggiare una lin­gua, e una lingua puoi padroneggiar­la solo utilizzandola giorno per gior­no ». Lo spazio per l’ottimismo è scar­so perché, spiega la professoressa, «insegnare una lingua in quel modo è faticoso, implica quasi un bilingui­smo ». Infine c’è un altro problema. La scarsa conoscenza dello stesso ita­liano: «Tempo fa mi è capitato di sentirmi raccontare che in un liceo, durante una prova di traduzione, al­cuni ragazzi nella frase ’dacci oggi il nostro pane quotidiano’ hanno indi­viduato in ’dacci’ il soggetto del­l’azione. Se manca la conoscenza del­l’impalcatura della propria lingua madre, l’apprendimento di un’altra diventa più difficile». Conferma Luca Serianni, docente di Storia della lingua italiana sempre a «La Sapienza», accademico della Crusca e dei Lincei: «Per imparare una lingua diversa occorre inevitabil­mente partire dalla buona conoscen­za della propria di origine. Con quel­la organizziamo mentalmente e lin­guisticamente la realtà, si assimila la cultura diffusa, ci si abitua a ragiona­menti complessi. La lingua madre è insomma la prima chiave per orien­tarsi nel mondo, solo dopo si posso­no aggiungere gli altri elementi». E che giudizio ha della conoscenza del­l’italiano da parte delle nuove gene­razioni? «Mentre la lingua parlata è generalmente ben dominata, quella scritta lo è assai meno. Vedo gravi problemi sull’interpunzione, sulla costruzione sintattica, sul lessico astratto». In quanto all’inglese? «Non sarei tanto pessimista. Sarà la diffusione generalizzata di quella lin­gua, saranno i frequenti contatti con i coetanei di altre parti del mondo, fatto sta che, alla fine, mi sembra che i ragazzi italiani se la cavino ab­bastanza bene». Appena una suffi­cienza, insomma. E forse è davvero un po’ poco, «cavarsela», in questi tempi così duramente competitivi. ------------------------------------------------------------------------------------------------------ Così in Italia: 30% Conosce l’inglese a un buon livello. Lo usa fluentemente ogni giorno per motivi di lavoro; 66% Lo studia ma non lo parla. Di questi il 50,1% ne ha una conoscenza solo scolastica; 15% Delle famiglie chiede più inglese. Il dato riguarda le secondarie di primo grado: chieste 5 ore invece di 3; 30 euro Il costo medio di una lezione. Il prezzo però è molto variabile a seconda della regione.