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 2009  settembre 14 Lunedì calendario

Il balzo di immobili, oro e listini Sulla ripresa l’ombra delle bolle - Un anno fa capitolava Leh­man, vacillava Merrill Lynch, mentre anche Morgan Stanley e Goldman Sachs vedevano in Borsa l’orlo del precipizio

Il balzo di immobili, oro e listini Sulla ripresa l’ombra delle bolle - Un anno fa capitolava Leh­man, vacillava Merrill Lynch, mentre anche Morgan Stanley e Goldman Sachs vedevano in Borsa l’orlo del precipizio. E un certo mondo attorno a Wall Street aveva già tro­vato il colpevole: le vendite allo scoperto, la tecnica a debito che permette agli investito­ri di lucrare sul ribasso di un titolo accele­randone il crollo. La stessa manovra che nel ”92 aveva affossato la lira e arricchito Geor­ge Soros, ora rischiava di distruggere alcu­ne grandi icone americane. Per molti, quella tecnica è sempre stata parte dell’efficienza brutale di Wall Street nel dire la verità su quanto vale una banca, o una moneta. Ma dall’autunno scorso le vendite allo scoperto sono state proibite ovunque e da allora nulla è ancora tornato come prima: Germania e Francia mantengo­no il divieto e anche dove è stato levato, ne­gli Stati Uniti o in Gran Bretagna, rimango­no restrizioni prima impensabili su quel ti­po di scommesse (l’Italia, quanto a questo, ora ha un regime fra i più aperti). con que­sti vincoli anti-ribassi ancora largamente al loro posto che l’Eurostoxx 50 e il Dow Jones Industrial Average hanno guadagnato en­trambi circa il 50% dal 9 marzo scorso. co­me se la corsa dei campioni dei listini si fos­se svolta con un busto sotto la maglia che li teneva in piedi, e nessuno sa se senza si sa­rebbero di nuovo ripiegati su se stessi. La grande avanzata delle Borse negli ulti­mi mesi, quella che ha quasi riportato New York, Londra, Parigi o Milano sui livelli pre-Lehman, è il grande enigma del 2009. Chi ci ha creduto, sottolinea come a marzo le quotazioni azionarie fossero ridicolmen­te basse rispetto agli utili delle società e co­me le piazze finanziarie in realtà abbiano an­ticipato gli attuali germogli di ripresa. Esistono però poi altri indizi che stendo­no un’ombra sulle speranze di un lieto fine semplice e imminente. In un anno, la massa di moneta in circolazione solo negli Stati Uniti è cresciuta del 109% grazie agli inter­venti della Federal Reserve e chi voglia capi­re dove sia finita può concentrarsi su un’anomalia: dalle obbligazioni alle azioni, ai metalli preziosi, tutte le classi di valori at­tualmente sono al rialzo. come se gli inve­stitori semplicemente premiassero tutto e tutti: l’oro al record di oltre i 1.000 dollari l’oncia, i titoli di Stato a breve così richiesti che hanno rendimento netto a zero, la Bor­sa così affollata di compratori che continua a salire dopo la corsa degli ultimi mesi, gli immobili del distretto finanziario di Canary Wharf, a Londra, che tornano a crescere. Di solito invece si compra l’oro come rifugio quando si fugge dal reddito fisso e dalle azioni, o magari viceversa. Invece i mercati festeggiano un anno senza Lehman con un comportamento opposto all’avversione in­discriminata di allora. Sembrano i sintomi di una bolla specula­tiva. Ma per alcuni, come Kenneth Rogoff di Harvard, quest’euforia apparente è so­prattutto un atto di accusa verso le grandi banche occidentali: negli ultimi mesi han­no fatto grandi utili investendo ovunque fondi presi abbondantemente a prestito dal­le banche centrali a tassi zero (negli Stati Uniti e in Gran Bretagna) o poco più (nella zona-euro). L’aumento del 67% dei profitti da «trading» finanziario di Goldman Sachs nei primi dei mesi del 2009, rispetto a un anno fa, può essere la spia che Rogoff ha ra­gione. L’istituto principe di Wall Street sot­tolinea però che ha lavorato soprattutto sui fondi dei clienti e non sui propri. Anzi, ricor­da che grazie alla gran massa di prestiti sup­plementari quest’anno la Banca centrale eu­ropea ha guadagnato quasi un miliardo di euro in più di interessi. Della bolla d’estate, dei salvataggi garanti­ti dai contribuenti, hanno dunque approfit­tato in molti. E fosse questo il problema, la sua soluzione sarebbe solo una questione di tempo: la Bce ha già iniziato a parlare dei futuri rialzi dei tassi, la Fed sta già ritirando un po’ di sostegno a Wall Street. Tra un an­no nelle vene del sistema finanziario corre­rà meno liquidità a poco prezzo e la grande selezione del mercato inizierà. Ma, appunto, questo rischia di essere una trama già vista dopo la bolla tecnologica: in fondo l’esito è noto. Stavolta però il sistema che emerge dalla crisi presenta contraddi­zioni anche più insidiose e dure da scardina­re. Bolle pesanti come pietre. Perché questa doveva essere la tempesta che avrebbe ri­portato all’umiltà i grandi banchieri, eppu­re sembra vero l’opposto. I colossi finanzia­ri non sono mai stati così capaci di ricattare i loro governi grazie alla loro taglia, cresciu­ta mentre l’economia crollava. Il primo isti­tuto americano, Bank of America, a metà di quest’anno denunciava attività di un terzo più vaste di quelle del 2008, per 2.250 mi­liardi di dollari. In Gran Bretagna Lloyds e Royal Bank of Scotland, le due banche nazio­nalizzate in extremis, controllano ora una quota molto più ampia degli sportelli del re­gno, oltre il 30%. E nell’area-euro l’insieme degli aiuti offerti al settore finanziario – fra garanzie, interventi e sussidi – è pari al 31% del prodotto interno lordo. Lehman è morta, ma le grandi banche so­pravvissute emergono dall’anniversario del­la sua fine più potenti di prima. Sanno che il trauma di un anno fa non si è più cicatriz­zato. Gli istituti sono troppo grandi per esse­re lasciati fallire, quindi su di loro esiste una garanzie implicita degli Stati. I grandi banchieri potranno continuare a navigare, e rischiare, sui mercati contando che i contri­buenti impediranno loro di andare a fondo. Quei 1.600 miliardi di dollari di perdite da speculazione, le 450 mila perdite di posti di lavoro nella finanza, sono passati senza mu­tare i rapporti di forza. La si potrà forse chia­mare bolla: qualcuno, là dentro, continua a sentirsi molto protetto.