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 2009  settembre 14 Lunedì calendario

MEDICINA E BUSINESS/

L’azienda che per prima lancerà un prodotto convincente si ritroverà spianato di fronte a sé un mercato globale gigantesco



L’allarme provocato dall’influenza A/H1N1 si è trasformato in una gara contro il tempo per i colossi di Big Pharma, chiamati a produrre in fretta più di un miliardo di dosi di vaccino. Quella che si è scatenata è un’autentica corsa all’oro visto che sul piatto ci sono almeno 10 miliardi di dollari. Una cifra destinata a lievitare, portando il fatturato mondiale complessivo del settore vaccini a superare i 30 miliardi di dollari annui entro il 2012, contro i 21 stimati nel 2008. Secondo Farmindustria, ogni euro investito in vaccini ne fa risparmiare fino a 24 per curare chi si ammala. Tutti i governi insistono sulla strategia preventiva: anche se il ministro della Salute italiano Ferruccio Fazio ha ridimensionato la settimana scorsa l’allarme, e il ministro Gelmini ha tenuto a sottolineare che a scuola tutto andrà regolarmente, l’Italia ha chiesto a Novartis e a Sanofi Pasteur Msd una fornitura di 48 milioni di dosi. Gli Stati Uniti hanno stanziato 1,8 miliardi di dollari e aspettano il via libera alla somministrazione dalle autorità regolatrici. Ma a che punto sono i produttori mondiali in corsa?
Novartis conta di produrre 150 milioni di dosi entro la fine dell’anno per metterle a disposizione dei 35 paesi di tutto il mondo che ne hanno fatto domanda, tra cui Francia e Italia. La parte del leone la fanno comunque gli Stati Uniti, che hanno ordinato alla casa svizzera l’equivalente di 979 milioni di dollari del suo vaccino. Ora c’è uno studio dell’università di Leicester su 100 volontari secondo cui dopo una sola somministrazione, il prodotto mostrerebbe una risposta immunitaria protettiva nell’80% dei soggetti: sarebbe superfluo il richiamo e le scorte potrebbero essere distribuite al doppio delle persone. Per velocizzare la produzione, l’azienda ha deciso di affiancare al metodo classico della coltura nelle uova quello più rapido della coltura cellulare.
Una strada alternativa che Sanofi Pasteur ha preferito non seguire. Spiega il direttore medico, Luigi Roberto Biasio: «Abbiamo scelto di limitarci alla coltura tradizionale perché la produzione di un vaccino pandemico ha tante variabili ed è preferibile usare una tecnica di cui si ha padronanza completa». L’azienda a maggio ha incassato una commessa da 190 milioni di dollari dal dipartimento della salute americano, e lunedì scorso è arrivata quella del Brasile, che detiene il triste primato dei decessi causati dal virus. La fornitura iniziale sarà di 18 milioni di dosi, con un’opzione per altri 15. Nello stabilimento di Anagni, in provincia di Frosinone, si lavora a pieno ritmo al riempimento asettico e al confezionamento in vista della distribuzione che comincerà entro fine anno e includerà 100 milioni di dosi donate alle nazioni povere. «I risultati degli studi in corso arriveranno per la fine di ottobre e ci diranno quale sarà il dosaggio migliore».
Attenzione c’è per il gruppo anglosvedese AstraZeneca, che propone un vaccino in formula spray. Non sarebbe solo una questione di comodità: «Quello iniettato per via intramuscolare – spiega Raffaele Sabia, direttore medico per l’Italia – è composto da virus uccisi, interi o particelle. Noi invece utilizziamo virus vivi ma attenuati, che sembrano garantire una risposta superiore a livello di anticorpi». Se l’idea sfonderà, nelle casse dell’azienda entreranno nei prossimi due anni all’incirca 2,3 miliardi di dollari. «Aspettiamo l’ok delle autorità per la commercializzazione. Negli Stati Uniti dovrebbe arrivare in autunno, in Europa nel 2010».
Molto richiesta è poi Pandemrix, la soluzione dell’inglese GlaxoSmithKline: gli ordini hanno superato i 291 milioni di dosi. Sono iniziati i test clinici, 16 in tutto, che coinvolgeranno 9mila persone tra Europa e Nord America, con i primi risultati attesi a partire da questo mese. L’azienda ha anche deciso di regalare 50 milioni di dosi all’Oms per combattere l’emergenza nelle aree in via di sviluppo e di destinare allo stesso scopo il 20% della produzione del suo sito canadese. E il governo Usa ha speso 250 milioni di dollari per acquistare da Gsk gli ingredienti che servono a preparare il vaccino nei laboratori pubblici.
Della partita è pure l’americana Baxter con il suo Celvapan, basato su coltura cellulare. Sono già state ordinate 80 milioni di dosi da Inghilterra, Irlanda e Nuova Zelanda, ma a quanto risulta non dagli Usa. A gonfie vele vanno gli affari dell’australiana Csl, che da qui a giugno 2010 prevede vendite per 248 milioni di dollari. A guastare i piani e intaccare i guadagni di Big Pharma, potrebbe essere Panflu, il vaccino della cinese Sinovac Biotech. Costa il 30% meno degli altri, è monodose, e ha già fatto segnare un record: è il primo ad avere ottenuto il via libera da un’autorità regolatrice, per inciso quella di Pechino. Non mancano le perplessità da parte della comunità scientifica internazionale, specie per l’assenza nel preparato di un adiuvante che stimoli la risposta immunitaria, come è di regola negli altri prodotti. In attesa del vaccino, oltre al sempreverde consiglio di lavarsi le mani, un aiuto arriva dalla tecnologia: è stata sviluppata per iPhone l’applicazione Outbreaks near me, che tramite il gps del telefono e Google health map, allerta il suo possessore quando si trova in un focolaio di influenza A. Gli aggiornamenti possono essere inviati dagli stessi utenti.