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 2009  settembre 12 Sabato calendario

LA METAMORFOSI DI NOMURA DOPO L’AVVENTURA AMERICANA

Un anno vissuto pericolosamente, in cui sono successe cose mai viste: il crollo della Lehman Brothers ha provocato un vero tsunami sul Giappone, dal piano ”macro”ai più impensabili micro-livelli, provocando una serie di novità assolute. Si è visto persino un ammi-nistratore delegato che non solo guadagna molto meno di tanti manager che lui stesso ha assunto, ma che afferma di «non vedere alcun problema in questo », per dare un buon esempio a una truppa assediata da invidie demotivanti. La dichiarazione è stata fatta alcuni mesi fa al Foreign Correspondents’ Club di Tokyo - in risposta a una domanda del Sole 24 Ore- da Kenichi Watanabe, numero uno di Nomura, che assieme al braccio destro Takumi Shibata passerà alla storia per aver preso all’improvviso una decisione come mai nessun ”executive” giapponese si sarebbe mai sognato di fare: assumersi il rischio di acquistare a tambur battente gran parte delle attività (Asia, Europa, Medio Oriente) di una banca d’affari di Wall Street in rovina, al fine dichiarato di cambiare i connotati del suo gruppo e di scommetterne il futuro su una singola operazione. Per evitare il rischio di ritrovarsi con una scatola vuota di talenti, inoltre, Watanabe non ha esitato a garantire a buona parte del personale ex Lehman i bonus sui livelli del 2007, l’anno che era stato chiuso dal Ceo della società americana, Dick Fuld, con un brindisi natalizio a champagne e annuncio di profitti record.
Per le finanze personali di molti ex ”Lehman boys”,insomma, Watanabe è stato un munifico mecenate: se non ci fosse stato il crollo, mai avrebbero potuto sognarsi bonus da record nell’anno nero della finanza. La terza decisione senza precedenti in una società nipponica è stata quella di mettere in quasi tutte le posizioni-chiave gli ”uomini nuovi” neo-arrivati: al vecchio personale Nomura, già insoddisfatto per le sperequazioni di stipendio, l’acquisto è finito per sembrare un – reverse takeover”. ancora presto per dare un giudizio definitivo sulla strategia di Watanabe. Certo il crollo dei mercati e le difficoltà anche culturali di una fusione mai tentata prima ha provocato un buco enorme nei conti di Nomura, che ha chiuso l’esercizio fiscale con una perdita record di oltre 7 miliardi di dollari. Dal secondo trimestre, però, è tornata in utile, mentre ha guadagnato posizioni prima impensabili su scala internazionale. Anche altri gruppi giapponesi si sono assunti rischi inconsueti. Mitsubishi Ufj, per esempio, decise di salvare Morgan Stanley con una spesa di 9 miliardi di dollari per una quota del 20 percento. Novità assoluta negli annali degli investimenti: con il passare di giorni drammatici, la capitalizzazione complessiva di Morgan Stanley precipitò prima della finalizzazione dell’operazione - sotto il valore del 20% che il gruppo giapponese si era impegnato ad acquisire. Comunque furono ottenute garanzie e l’accordo si fece, portando per la prima volta un giapponese (Nobuyuki Hirano) nel board della Morgan. Sul piano operativo, le conseguenze del ”deal” si stanno vedendo soprattutto in Giappone, con un processo di integrazione tra i due gruppi (meno chiara è la spinta ricevuta da Mitsubishi Ufj sul piano internazionale).
Del resto, l’effetto domino del crollo Lehman ha provocato un forte disimpegno degli americani dal Sol Levante, culminato con la scomparsa del piccolo impero che Citigroup era riuscita faticosamente a creare. Nella disperata necessità di fare cassa, Citigroup ha venduto i suoi gioielli, a partire da quello più grande e più recentemente acquistato, Nikko Cordial, rilevata da Sumitomo Mitsui. Il che, a sua volta, ha finito per provocare proprio in questi giorni un astioso divorzio tra Sumitomo e Daiwa, con lo scioglimento della joint venture Daiwa Securities SMBC. Il paradosso più evidente, comunque, riguarda l’aspetto macroeconomico e borsistico. Nell’autunno scorso si pensava che il Giappone, grazie a un sistema finanziario meno esposto a subprime e derivati complessi, potesse persino trarre vantaggi dal caos di Wall Street. Invece sia l’intera economia nipponica sia la sua Borsa sono risultate le più penalizzate.
Il crollo dei corsi azionari ha generato tempeste nella situazione patrimoniale delle banche, detentrici di importanti partecipazioni nelle imprese con cui fanno affari: di qui la necessità di aumenti di capitale che a sua volta aggravano le pressioni ribassiste sul mercato. La recessione globale, infine, ha semi-travolto un sistema produttivo ancora troppo dipendente dalle esportazioni: così le grandi imprese della Corporate Japan sono passate in un solo esercizio dai precedenti profitti record a perdite mai viste. Tanto più l’economia nipponica si è messa and andare male, inoltre, tanto più lo yen si è rafforzato, in coincidenza con la chiusura del differenziale dei tassi internazionali e la conseguente smobilitazione del ”carry trade”. Gli accenni di una ripresa sono ancora timidi.