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 2009  settembre 13 Domenica calendario

GIAMPAOLO VISETTI

dal nostro corrispondente
PECHINO - E´ durata poco più di un mese la luna di miele obbligata tra Usa e Cina. Il «G2» che dovrebbe «costruire il XXI secolo», pressato dagli effetti interni della crisi economica globale, sembra già prossimo alla separazione. Lo strappo è partito da Washington, che in tre giorni ha dichiarato a Pechino la «guerra delle gomme e dei tubi». Il presidente Obama, cedendo alla pressione interna dei sindacati che da mesi denunciano il «dumping giallo», ha deciso ieri di alzare per tre anni i dazi sui pneumatici cinesi per auto e camion leggeri. Dall´attuale 4%, dal 28 settembre schizzeranno al 35% il primo anno, al 30% il secondo e al 25% il terzo. Una mazzata, per l´indebolito export della Cina.
Ma pure, politicamente, una misura protezionistica pressoché obbligata. In tre anni in America le importazioni di copertoni cinesi, dal prezzo imbattibile, sono triplicate facendo strage di fabbriche e falciando oltre 5 mila posti di lavoro. Mercoledì la Casa Bianca aveva imposto dazi preliminari anche sui tubi d´acciaio made in China: tra il 10,90% e il 30,69%, per un totale di 2,6 miliardi di dollari. I produttori cinesi dovranno anticipare in contanti, o in obbligazioni, le imposte doganali. Se si rivelasse fondata l´accusa di «dumping», avanzata dalla potente United Steelworkers Union, i dazi punitivi Usa potrebbero arrivare fino al 99,14%, spingendo la merce cinese fuori mercato.
La Cina, pur «irritata e preoccupata», non aveva commentato ufficialmente la barriera anti-tubi. Ieri invece, all´annuncio della prevista tassa sulle gomme, è esplosa una reazione di sorprendente durezza. Il portavoce del ministero del Commercio ha espresso «la più ferma condanna di questo grave atto di protezionismo commerciale, che viola le regole della Wto e contrasta con gli impegni assunti dagli Usa nel G20». E´ seguita quella che gli analisti definiscono «una inedita dichiarazione di guerra economica». Pechino ha diffuso una nota annunciando che i dazi americani «sono un cattivo esempio» e potranno «innescare una reazione a catena di misure commerciale protezionistiche, tali da rallentare il passo attuale della ripresa nell´economia mondiale».
Quindi la minaccia: «Ci riserviamo il diritto di reagire, pregiudicando lo sviluppo delle relazioni bilaterali e facendo valere tutti i nostri diritti, compreso un ricorso alla Wto». La crescita cinese dipende dalle esportazioni ed è la prima condizione per la ripresa mondiale. La Cina ha però in mano, in particolare, l´economia Usa. E´ esposta con il Tesoro di Washington per 800 miliardi di dollari e possiede un quarto del debito pubblico americano all´estero. Se decidesse di venderne una parte, scatenerebbe un terremoto sui mercati finanziari e il crollo della valuta di riferimento. La prima mossa potrebbe così limitarsi a un «contro-dazio sul pollo», capace di scuotere la fragile agricoltura americana. I dossier caldi dell´Americina sono in realtà ben più complessi e riguardano l´accordo su clima ed «economia verde», la lotta al terrorismo, i negoziati nucleari con Iran e Corea del Nord. Dalla salute della coppia dipende il destino del pianeta. Barack Obama, in novembre, sarà a Pechino. Il 20 settembre, 60º anniversario del primo discorso di Mao nella capitale comunista, per la prima volta isserà la bandiera cinese alla Casa Bianca. Non basterà a rasserenare la conflittuale partnership. Per questo l´economia mondiale segue lo scontro con il fiato sospeso e prende atto che la crisi, proprio a partire dagli Usa, ha capovolto la gerarchia tra libero mercato e interesse nazionale.
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