Carlo Macrì e Marco Imarisio, Corriere della Sera 13/9/2009, 13 settembre 2009
CETRARO
(Cosenza) – il relitto di una nave l’ombra comparsa improvvisamente dai fondali del mare di Cetraro, a 14 miglia dalla costa. Se si tratta, però, della nave dei veleni è ancora presto per dirlo. Attraverso le foto realizzate dal robot sottomarino calato a 480 metri di profondità, è stato possibile osservare che a prua la nave presenta un grosso squarcio, forse provocato da una bomba, da dove fuoriescono due fusti schiacciati.
L’Arpacal ha fatto i primi test per capire cosa contengono. Impossibile decifrare il nome della grossa imbarcazione, lunga circa 100 metri, la cui costruzione potrebbe risalire agli anni ”60-’70. Certo è che quel relitto non figura in nessuna carta nautica, segno evidente che l’affondamento non è stato mai segnalato. Il procuratore della Repubblica di Paola Bruno Giordano non si sbilancia sulle possibilità che possa trattarsi della Cursky, la nave di cui parlò anni addietro il pentito di ”ndrangheta Francesco Fonti. L’ex trafficante di stupefacenti, originario della Locride, implicato in numerose inchieste anche dalle procure di Milano e Torino, confessò al pubblico ministero della Dda di Catanzaro Vincenzo Luberto dell’esistenza di una nave con 120 fusti tossici fatta affondare a largo di Cetraro. Una nave stracarica di scorie radioattive spedita in fondo al mare per smaltire il carico di cui era piena la stiva. L’affondamento fu il risultato di un accordo tra la cosca capeggiata da Franco Muto e le famiglie di ”ndrangheta della Locride, che avevano deciso di buttarsi a capofitto nel business dei rifiuti. Fu proprio Muto – ha spiegato Fonti – a fornire il motoscafo d’altura servito per trasportare la dinamite utilizzata per far saltare in aria la nave. Il pentito raccontò pure che gli uomini dell’equipaggio della Cursky furono fatti salire sul motoscafo, portati a riva e poi, in macchina, trasferiti alla stazione di Paola dove presero un treno che li portò al Nord. Quel lavoro fruttò ai due protagonisti che causarono l’affondamento della Cursky, 200 milioni di vecchie lire. Furono avviate diverse inchieste coordinate dalla procura di Catanzaro. I magistrati interpellarono anche la Marina Militare. L’unica nave che le carte nautiche davano come affondata nel tratto di mare indicato da Fonti, era quella della motonave «Federico», colata a picco durante l’ultima guerra mondiale.
All’inchiesta della procura di Catanzaro si aggiunse quella di Reggio Calabria, affidata al pm Franco Neri. Il magistrato da metà anni ”90 aveva ricostruito le rotte di navi che sparivano nel Mediterraneo. Tra il 1981 e il ”93, ci furono diversi naufragi che Neri considerò molto strani perché in quei giorni le previsioni davano «mare piatto».
Carlo Macrì
Le scorie sepolte a colpi di dinamite L’affare finito dopo il caso Alpi
MILANO – «Dov’è la sorpresa?». Lo sappiamo da anni, dice Vincenzo Macrì. Il procuratore aggiunto presso la Direzione nazionale antimafia esibisce una giusta dose di cauto ottimismo mischiata ad una consapevolezza che deriva da decenni passati alle prese con le mafie calabresi.
La scoperta del mercantile affondato al largo dalla costa di Cetraro può essere la conferma ulteriore di qualcosa che si conosce già da tempo. La ”ndrangheta si occupa di rifiuti. Attività che è sempre stata sepolta nel profondo, sotto una coltre di omertà. Numerosi pentiti hanno raccontato il business «ecologico » delle cosche, ma non sono mai emersi elementi di riscontro certi sull’ubicazione delle scorie. Il luogo della sepoltura, quello non s’è mai trovato. «Sappiamo ad esempio che molte località dell’Aspromonte sono un giacimento di rifiuti. Ma nessun collaboratore di giustizia ha mai saputo indicare con precisione un sito». Le navi carretta affondate negli anni Ottanta e Novanta e oggi adagiate nei fondali del Mediterraneo a circa 200 metri di profondità sembravano essere diventate una specie di leggenda urbana, una chimera moderna. Nel 2007, il notevole quantitativo di metalli pesanti rilevato nel pescato proveniente dalle coste tirreniche della Calabria destò sospetto, ma la circostanza rimase al livello embrionale di indizio. Mancava la prova. Ad oggi, l’unico punto fermo sull’esistenza di un traffico illegale che ha portato fiumi di denaro alle cosche, era il sotterramento di 30.000 tonnellate di ferrite di zinco, rifiuti speciali provenienti da un’azienda di Crotone, presi in gestione dalle ”ndrine e sepolti nei campi tra Cassano Ionio e Cerchiara di Calabria. Una specie di Gronchi rosa. Adesso le cose potrebbero cambiare. Le parole di Francesco Fonti, il pentito che in una sua memoria è stato il primo a parlare di «navi a perdere» che venivano affondate con la dinamite, potrebbero essere lette in una nuova luce. L’ex trafficante di stupefacenti, originario della Locride, collabora dal 1995. Ha sempre parlato di rifiuti, con i giudici di Cosenza e quelli di Milano, ma gli inquirenti, pur credendolo affidabile, non sono mai riusciti a trovare pezze d’appoggio per le sue rivelazioni. «Forse – dice Macrì – se il rinvenimento di ieri viene confermato per quello che è, siamo davanti ad una prima volta, molto importante. Una scoperta fondamentale per ricostruire il passato».
Il passato, perché di questo si tratta. I rifiuti sono stati l’oro della ”ndrangheta, il propellente che negli anni Settanta e Ottanta ha permesso alla mafia calabrese di arricchirsi smodatamente. Dice Macrì: «Mentre la camorra si è concentrata sui rifiuti solidi urbani e secondariamente sulla monnezza ’sporca’, la ”ndrangheta ha trattato sempre e soltanto rifiuti tossici, autentiche bombe ecologiche ».
All’inizio degli anni Novanta c’è stata la ritirata, anch’essa certificata dalle parole di alcuni pentiti. Uno di loro identifica lo spartiacque nella morte di Ilaria Alpi. La vicenda della giornalista del Tg3 uccisa in Somalia accese i riflettori sui traffici illegali di rifiuti ad alto potenziale venefico. Una pubblicità indiretta che allarmò qualche capobastone. Aumentò la pressione degli inquirenti, vi fu qualche protesta dal territorio, perché l’elevata tossicità del materiale interrato o inabissato danneggiava le famiglie stesse dei mafiosi. Macrì è categorico: «La stagione delle scorie gestite dalle cosche è finita da un pezzo. Ma costituisce uno dei periodi meno conosciuti della mafia calabrese. Con questo business la ”ndrangheta ha realizzato profitti enormi, che le hanno permesso di internazionalizzarsi e di diversificare all’estero le proprie attività. diventata il colosso criminale di oggi grazie ai rifiuti tossici. E al cortese aiuto fornito da aziende, imprenditori e amministratori pubblici, complici o conniventi».
Marco Imarisio