Claudio Gorlier, La Stampa 12/9/2009, 12 settembre 2009
A cento anni dalla sua pubblicazione, Martin Eden di Jack London, riproposto negli Oscar Mondadori (a cura di Davide Sapienza, pp
A cento anni dalla sua pubblicazione, Martin Eden di Jack London, riproposto negli Oscar Mondadori (a cura di Davide Sapienza, pp. 482, e9,50) rimane uno di quei libri esemplari che, quasi paradossalmente, ritrovano vita nella morte, nella tragedia del protagonista, non soltanto nel contesto della letteratura americana. La parabola di Martin - termine appropriato se si pensa alla decisiva prospettiva simbolica del libro, a cominciare dal suo cognome - si incentra sul prezzo che va pagato per giungere alla conoscenza di sé e del mondo. La seconda esige un prezzo estremo, la morte, che racchiude un valore tragicamente sacrificale. Il marinaio Martin segue una traiettoria esistenziale quasi inesorabile. Sul piano sociale, egli giunge, concettualmente ed esistenzialmente, ad affacciarsi per così dire nei piani alti, quelli della classe egemone, subendo, dopo l’apparente conquista, un trauma doloroso. Sul piano della conoscenza, un trauma speculare deriva dalla fragilità peculiare di ogni certezza, di ogni fede. Attorno al romanzo di London, o se si vuole al suo interno, lievitano darwinismo e un vago nietzschianesimo, naturalismo - simbolo supremo, il mare - e utopia socialista. Ma in realtà la frequentazione intellettuale di Martin gli nega qualsiasi rassicurante certezza. Sta qui la bruciante modernità di Martin Eden, nella crisi irrimediabile dell’ideologia, e quindi nel rifiuto dell’ideologia salvifica. Il tuffo fatale «nell’oscurità» del mare, il sapere che è smettere di sapere la scelta finale di London stesso, sostanziano una splendida, vittoriosa sconfitta, che due secoli non hanno cancellato. Claudio Gorlier