Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 12 Sabato calendario

Antonio quella casa l’ha costruita con il sangue. Se grattate, c’è la vita di mio fratello impastata con la calce

Antonio quella casa l’ha costruita con il sangue. Se grattate, c’è la vita di mio fratello impastata con la calce. Trent’anni ci ha messo, da quando abbiamo lasciato la Puglia e siamo venuti qui a Trieste. Tutti i guadagni, il tempo libero, la passione li ha spesi per tirare su quei due piani. E all’improvviso che cosa succede? Gli costruiscono sulla testa un palazzo di sette piani che gli toglie l’aria da respirare. Esci la mattina e ti trovi un muro di cemento». Giuseppe Castriotta non ha rabbia nella voce, non ne ha la forza e poi a che cosa servirebbe? Suo fratello Antonio, un pensionato di 60 anni, ormai è morto: giovedì mattina è salito sulla sua Toyota Corolla, l’ha caricata con quattro bombole di gas ed è entrato nel garage del palazzone che cresce accanto al suo giardino. Poi un boato. Il mostro Antonio voleva far saltare il mostro di sette piani, ha aspettato che uscissero gli operai del cantiere e con le quattro bombole ha cercato di costruire un ordigno. Una sola bombola è esplosa, poca per distruggere il tanto odiato palazzo, ma abbastanza per uccidere lui. Impossibile dire se volesse morire in un estremo gesto di protesta o se non sia riuscito a fuggire. Impossibile, ma Lucia, sua moglie, non smette di chiederselo. Adesso piange in cucina, circondata dai parenti. Nelle voci senti confondersi il dialetto triestino e l’accento pugliese. Nei discorsi appena sussurrati scopri la storia di una famiglia che è arrivata al Nord dalla Puglia, si è spaccata la schiena tutta la vita a fare il muratore e l’idraulico, riuscendo a integrarsi. Così era per Antonio. E la sua casa a due piani, con il salotto pulito fino a luccicare, i soprammobili in ordine sugli scaffali, doveva essere il segno del suo riscatto. Il sogno che diventava vero. Invece è stata la sua tortura, perché la battaglia contro il palazzone si era trasformata in lotta contro il mondo. Contro il potere delle imprese, come raccontava Antonio ai vicini, «che credono di poterti costruire un condominio in giardino». Contro la burocrazia che aveva permesso «quello scempio e non voleva ascoltare le ragioni di un uomo per bene». La villetta Siamo a San Giovanni, un quartiere popoloso sulle alture di Trieste. Case fitte, un reticolo di strade. In mezzo ecco la casa che Antonio aveva tirato su con le mani sue e dei fratelli. Lui, muratore, aveva alzato i muri. Giuseppe e gli altri lo avevano aiutato con l’impianto idraulico ed elettrico. Così la villetta era diventata anche l’opera di tutta la famiglia. «Antonio ci passava le giornate da quando aveva smesso di lavorare. Dopo un brutto incidente in cantiere gli avevano concesso la pensione di invalidità», racconta Maria, la cugina. Ma non era certo tipo da abbattersi: «Era sempre in movimento. Passava le giornate nel piccolo giardino, curava i pomodori», sospira Guido, che abita a pochi metri di distanza. Una vita normale, Antonio sognava solo questo. «Poi, una mattina, hanno cominciato a costruire quel palazzo», racconta Lucia. Ed è cominciata la battaglia: «Abbiamo cominciato una causa, Castriotta sosteneva che il cantiere toccava le fondamenta della sua casa e rischiava di farla crollare», dice l’avvocato Paolo Codiglia. Aggiunge: «Il giudice in parte gli diede ragione, l’impresa (la Nuova Edile di Dino Paoletic e Stephano Visconti, entrambi interpellati da ”La Stampa” hanno rifiutato di fornire una loro versione) doveva adottare maggiori cautele». Ma fu solo l’inizio: il costruttore appellò. E ancora tribunali, carte bollate. Fino alla seconda sentenza: le perizie ripetono che le paure di Antonio non sono frutto degli incubi di un uomo esasperato: c’è rischio «di un rilassamento del terreno», dicono i tecnici. Caso chiuso, il giudice decide di compensare le spese: ognuno paga il suo, insomma. E proprio questa è forse la scintilla che fa esplodere la rabbia di Antonio: «Ma come - diceva ai vicini - se ho ragione perché devo pagare io?». La rabbia Ogni giorno, appena usciva di casa, Antonio si trovava davanti il palazzone che cresceva e alimentava la sua rabbia. Ogni colpo di martello era come dato a lui. «No, non era un uomo depresso», racconta Guido, l’amico di sempre, ma ad ogni incontro il tarlo veniva fuori, «mi parlava sempre di quel condominio che gli avvelenava la vita». Fino al giorno in cui Antonio ha pensato a quella cosa: la bomba. «Non mi sono accorta di niente. Lo vedevo inquieto, ma non avrei mai immaginato che finisse così», ripete agli amici e a se stessa la moglie Lucia. «Come ho fatto a non capire?», si sente in colpa, ripercorre senza sosta gli ultimi istanti: «Vado un attimo in garage, tu prepara il pranzo, torno subito», sono state le ultime parole di una vita insieme. Poi lo scoppio che ha fatto tremare la casa dei Castriotta. Ma il palazzone no, il mostro è rimasto intatto. Le impalcature del cantiere ingombrano ancora il giardino di Antonio. I lavori possono proseguire. Estate 2007 Il cantiere In via Linfe, a Trieste, comincia la costruzione di un palazzo di sette piani davanti alla casa dove vive la famiglia Castriotta. Giugno 2008 In tribunale Antonio Castriotta avvia la causa per fermare il progetto. Settembre 2008 La sentenza Il giudice con un provvedimento d’urgenza ferma i lavori. Ottobre 2008 Il ripensamento Il giudice consente all’impresa di riaprire il cantiere. Marzo 2009 L’appello Castriotta non vince la causa, ma i periti ammettono che i lavori potrebbero provocare un «rilassamento del terreno».