Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 12 Sabato calendario

Tutte le strade portano all’Homo sapiens, ma quante sono le strade dell’evoluzione umana? Finora gli studi s’erano concentrati sulla rotta africana, la grande migrazione che un milione d’anni fa aveva spinto i nostri antenati fuori dall’attuale Kenya per lanciarli alla conquista del mondo

Tutte le strade portano all’Homo sapiens, ma quante sono le strade dell’evoluzione umana? Finora gli studi s’erano concentrati sulla rotta africana, la grande migrazione che un milione d’anni fa aveva spinto i nostri antenati fuori dall’attuale Kenya per lanciarli alla conquista del mondo. Ma da quando hanno tra le mani i preziosi teschi di Dmanisi, un villaggio medievale tra le colline del Caucaso, a poche decine di chilometri dalla capitale georgiana Tbilisi, i paleontologi raccontano un’altra storia. Secondo la nuova teoria, già pubblicata su Nature e illustrata martedì al British Science Festival di Guildford dal direttore del Georgia National Museum David Lordkipanidze, parecchio tempo prima che l’Homo erectus abbandonasse il Continente Nero qualcuno, assai simile a lui, viveva ai margini estremi del pianeta. Che si fosse stabilito lì durante una spedizione precedente verso Nord ignota agli scienziati o che semplicemente avesse cominciato a correre sugli arti inferiori con largo anticipo rispetto al cugino meridionale, l’antico abitante di Dmanisi concorre oggi per la paternità della progenie umana. «Se avessimo scoperto i resti quarant’anni fa, li avremmo attribuiti all’Homo erectus, la fronte non è spaziosa come quella ma i denti sono simili e la calotta cranica piccola» ci spiega il professor Lordkipanidze. Peccato che i tempi non coincidano: «L’homo di Dmanisi risale a 1,8 milioni di anni fa. E’ difficile che si tratti di un pioniere africano, probabilmente siamo di fronte al primo esemplare europeo». Il capitolo euroasiatico dell’evoluzione umana inizia nel 1991, quando un team di studiosi internazionali, tra i quali l’italiano Lorenzo Rook, inaugura gli scavi nel remoto sito archeologico georgiano. Uno dopo l’altro vengono alla luce cinque teschi, frammenti di ossa, una mandibola: tutti campioni da vagliare con attenzione, come le ipotesi che suggeriscono. La teoria darwiniana non cambia, dice David Lordkipanidze, ma il calendario sì: «I fossili di Dmanisi sono precedenti a quelli di Ceprano, in Italia, dove si pensava che l’Homo erectus fosse arrivato 800 mila anni fa. Sono le più antiche tracce umane ritrovate fuori dall’Africa». Prima di lui bisogna risalire all’Homo abilis, detto «handy man», che lavorava le pietre e popolava la regione dell’attuale Tanzania tra 2,5 e 1,6 milioni di anni fa. La fisionomia in realtà è parecchio primitiva. Lo zio georgiano era piuttosto basso, non oltre il metro e mezzo, utilizzava poco e male gli arti superiori e aveva il cervello piccolo piccolo, circa 600 centimetri cubici contro i mille attribuiti all’africano, un terzo della massa grigia contemporanea. In certi casi, però, non è la testa che fa la differenza. «Finora avevamo creduto che lo sviluppo nelle dimensioni del cervello fosse cominciato quando l’uomo era diventato carnivoro durante l’esodo dall’Africa, ma sbagliavamo. Le nuove informazioni fanno pensare che l’anatomia sia più importante della massa cerebrale» continua il professore di Tbilisi. Se pure non ci si spremeva troppo le meningi, a Dmanisi si camminava di buona lena: «Gli arti inferiori, specialmente la tibia, sono molto umani, ben proporzionati, inducono a immaginare grandi corridori, non molto abili nella manualità ma scattanti». E’ la fine dell’unico, vero, indiscusso primato africano? David Lordkipanidze ammette la possibilità di diverse migrazioni: «Può darsi che l’Homo erectus si sia spostato dall’Africa verso il Caucaso per poi tornare indietro, oppure viceversa». Di certo un milione d’anni fa lui ne aveva già 800 mila sulle spalle e aveva imparato rudimentalmente a strutturarsi in società: «Tra i teschi ce n’è uno senza denti, il proprietario o la proprietaria sono sopravvissuti pur avendoli persi tutti. Segno che, nelle condizioni ambientali ostili del profondo Nord, la comunità si era organizzata in qualche forma di mutuo soccorso». www.lastampa.it/paci