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 2009  settembre 12 Sabato calendario

di PAOLO DI STEFANO L’esempio viene dall’alto, si diceva un tempo. Ma oggi si può dire, a ragion veduta, l’esat­to contrario: l’esempio viene dal basso

di PAOLO DI STEFANO L’esempio viene dall’alto, si diceva un tempo. Ma oggi si può dire, a ragion veduta, l’esat­to contrario: l’esempio viene dal basso. Per esempio dalle co­munità virtuali diffuse in rete, dove i contatti sono program­maticamente informali e ci si può rivolgere con il «tu» a ogni interlocutore, senza farsi troppi problemi. E non è detto, pertan­to, che la diffusione della secon­da persona singolare al posto del più rispettoso «Lei» non de­rivi proprio da lì. Intanto, si se­gnalano due notizie al riguardo che fanno riflettere anche per­ché arrivano in contemporanea da luoghi e da contesti molto di­versi. La prima viene dall’Aqui­la, dove Vittorio Sconci, presi­dente dell’Azienda farmaceuti­ca municipalizzata, ha sentito l’esigenza di inviare un richia­mo ai dipendenti per ricordare loro che «all’amministratore de­legato si dà solo del lei». La se­conda arriva dal Difensore del Popolo spagnolo, Enrique Múgi­ca. Il quale quest’anno, nell’abi­tuale bilancio della sua attività, uscendo forse dal suo consueto seminato, ha avvertito a futura (ma neanche troppo) memoria i suoi giovani concittadini che «dare del tu ai professori è una mancanza di rispetto». Insomma, se si muovono le autorità amministrative e quelle politiche per porre un argine al «tu» indiscriminato, deve esse­re proprio vero che le forme di scortesia stanno prendendo il sopravvento a ogni latitudine. Poco importa se l’alternativa è da una parte il moderno (e italia­nissimo) «Lei» (che per iscritto perde abitualmente la maiusco­la) e dall’altra il tradizionale «Usted», contrazione della locu­zione astratta «Vuesta Merced» sul tipo delle nostre vecchie for­mule meridionali «Vossia» o «Vossignoria». Dunque, siamo diventati tutti potenziali seconde persone sin­golari per chiunque. Il prof per l’allievo, il capufficio per il suo di­pendente, il politico per il giorna­­lista, il cliente attempato per la commessa, l’avventore per il bari­sta. E viceversa. «L’abitudine di collezionare amici ovunque, in internet attraverso facebook o via chat, oppure in tv nelle rubri­che della De Filippi, ha invaso la vita sociale». una prima rifles­sione del filosofo Remo Bodei, che aggiunge: «Si sta diffonden­do un’idea di cameratismo spon­taneo che non è democrazia ma solo sciatteria e banalizzazione dei rapporti umani». L’altro fatto­re rilevante specie per le giovani generazioni è, secondo Bodei, l’effetto-emulazione nei riguardi dell’inglese, dove «you» è onni­comprensivo da secoli. La prospettiva di uno storico della lingua come Francesco Sa­batini, ex presidente dell’Acca­demia della Crusca, non è mol­to dissimile. Anche quando se­gnala che in Abruzzo, come in altre regioni meridionali, «l’uso del ’tu’ senza intenzioni di con­fidenza discende da una tradi­zione contadina locale». Ma qui si parla d’altro: «In un sistema più ampio di relazioni, nell’am­ministrazione di Bergamo o di Bari, la regola del rispetto e del­la distanza richiede il ’Lei’». Senza arrivare alla deferenza fantozziana, è però difficile ve­dere dei vantaggi in una deregu­lation linguistica diffusa, secon­do Sabatini: «Farsi dare del tu da un superiore è un errore, per­ché toglie ogni margine di dife­sa. Il ’Lei’ reciproco garantisce una distanza nelle due direzio­ni. Va però instaurato un siste­ma uniforme: il ’tu’ con il ’tu’, il ’Lei’ con il ’Lei’». Dunque, il richiamo di un’am­ministrazione ai dipendenti per l’osservanza delle forme lingui­stiche è un segnale preoccupan­te? «La circolare sfiora il ridico­lo, è il sintomo di un’insufficien­za grave, perché l’insegnamento non dovrebbe essere impartito da una lettera interna ma dal­l’educazione prima familiare, poi scolastica e sociale». Sociale in senso lato. Ma anche con al­lusioni specifiche: «I mass me­dia hanno diffuso modelli di rap­porti appiattiti e non decifrabili, per cui in televisione spesso trionfa il ’tu’ indipendentemen­te dal tipo di relazione che c’è tra gli interlocutori». In un tem­po non troppo remoto (vedi il 68) si pensava che la seconda persona reciproca fosse un in­grediente necessario al sogno della parità universale: «Che un professore si faccia dare del tu dai suoi allievi mi pare solo po­pulismo. Io lo eviterei sempre e a volte lo spiego ai miei allievi dicendo che è anche una forma di rispetto nei loro confronti». Fatto sta che in italiano abbia­mo una ridondanza di formule di saluto e di cortesia (un tempo avevamo persino il «Voi»), men­tre a un francese basta un «s’il vous plaît» e a un inglese un «please» per dire quel che noi possiamo esprimere con mille sfumature: « vero che un ’sal­ve’ come saluto può essere posi­tivo e risolvere qualche proble­ma, ma la semplificazione della lingua è spesso il segno di un’umanità appiattita».