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 2009  settembre 12 Sabato calendario

Spaghettopoli: farina giù del 28%, pasta su dell’11% - Il cartello dei maccheroni è costato caro ai pastai italiani

Spaghettopoli: farina giù del 28%, pasta su dell’11% - Il cartello dei maccheroni è costato caro ai pastai italiani. L’Antitrust ha comminato 12 milioni di euro di multe a 27 società produttrici. Oltre 6 milioni alla sola Barilla. Nei giorni scorsi Libero ha documentato ampiamente sia i meccanismi utilizzati dalle aziende per mettersi d’accordo, sia gli aumenti concordati, fra 30 e 35 centesimi al chilogrammo. Abbiamo dato conto anche dei verbali stenografici, acquisiti agli atti dal Garante Antonio Catricalà, delle riunioni svoltesi alla sede romana dell’Unipi dove i numeri uno delle società o i loro rappresentanti davano la loro adesione al cartello e comunicavano la modulazione degli aumenti da applicare ai listini. Ne diamo due esempi nella scheda che pubblichiamo qui a fianco. Accertata l’esistenza di un’intesa che ha fatto aumentare in valore assoluto la pasta di almeno 30 centesimi al chilo, ci ha colto un dubbio: ma quale sarà il prezzo di oggi degli spaghetti e delle penne che si trovano sugli scaffali dei supermercati? Per rispondere a questa domanda vestiamo i panni del ”casalingo di Voghera”. Come abbiamo fatto nella scorse settimane facciamo una rilevazione empirica dei cartellini che la siura Maria, trova sui banchi di quattro punti vendita nel capoluogo mancato dell’Oltrepò pavese. Questa volta la squadra dei ”price controller” è rinforzata dal figlio del Casalingo di Voghera, Riccardo, 11 anni. Assieme, taccuino alla mano, ripercorriamo lo stesso giro compiuto in occasione della rilevazione precedente, quando si è trattato di capire di quanto rincarassero dal campo alla tavola pere, pesche, zucchine, pomodori e melanzane. Le tappe di questo tour degli acquisti ”simulati” sono quattro: innanzitutto ci fermiamo alla Coop, poi al Gulliver, una catena che localmente conta parecchie decine di punti vendita. E ancora Esselunga e Iper di Montebello. La prima sorpresa riguarda l’assortimento. Sulle 27 marche di maccheroni multate dall’Antitrust ne troviamo pochine, in tutto nove, oltre naturalmente alle marche di casa, le ”private label” commercializzate sotto l’insegna del supermercato. Alcuni produttori, come Zara e Rummo, esportano quasi tutta la produzione o la cedono alle catene della grande distribuzione. Decidiamo di ignorarle. Per ora, almeno. La trafila è la solita: prendiamo nota del prezzo al chilogrammo delle paste vendute in confezione da 500 grammi. Così come ha fatto l’Antitrust. Il motivo è semplice: le confezioni più grandi non sono raffrontabili in quanto il prezzo scende. Ci aspettiamo un calo generalizzato: le quotazioni del grano sono letteralmente crollate, solo nell’ultimo anno del 34,71%. Ora i chicci dorati costano (all’ingrosso) 15 centesimi al chilo, contro i 24 dello scorso anno. La quotazione è precipitata ai livelli del 2006, quando la bolla speculativa dei cereali la fece schizzare in alto. L’accordo fra i pastai che ha condotto l’Autorità a infliggere le pesanti multe era stato deciso proprio per fare fronte agli aumenti della materia prima. Ora che è tornata al prezzo pre-bolla, sarebbe logico attendersi che i cartellini degli spaghetti sul bancone siano calati. Forse non del 34,7% come il grano. Ma un poco sì. Per prevenire l’obiezione dei pastai facciamo un’altra verifica. Sul prezzo della farina di semola di grano duro, quella utilizzata per produrre tutti i tipi di pasta secca. Ci viene in aiuto la Coldiretti che ha una base dati enorme. Il prezzo della semola sulla Borsa merci di Bologna è sceso negli ultimi 12 mesi dai 485 euro la tonnellata del 2008 agli attuali 350 euro. Pure questo dunque è andato giù, del 27,8%. Un po’ meno rispetto a quello del grano, ma si tratta pur sempre di un calo pari a un quarto del valore di mercato. Non poco. Ora diamo un’occhiata ai prezzi rilevati ieri dal Casalingo di Voghera (nella tabella abbreviato con la sigla CdV). E qui arrivano le vere sorprese. Qualche marca ha fatto sì dei lievi ritocchi verso il basso, come Agnesi (Colussi) e Divella, 8 centesimi nel primo caso e 12 nel secondo che equivalgono a un -4,4 e a un -9,8 per cento. Le altre marche invece sono rincarate, con percentuali che vanno dal 5,9 di Barilla al 45,6 per cento di Granoro. Facendo la media aritmetica sui prezzi delle confezioni che il Casalingo di Voghera ha trovato sullo scaffale, l’aumento è dell’11,6%. Non tantissimo, certo, ma si tratta di una percentuale che fa a pugni col -34,7% del grano e col -27,8% della semola di grano duro. Nonostante la multa milionaria dell’Antitrust per il cartello fra produttori e nonostante il crollo della materia prima, la pasta è stata il prodotto che nei primi sei mesi dell’anno è aumentata di più fra quelli di largo consumo, con un +11% tendenziale rilevato dall’Istat. Che non è molto distante dal +11,6% riscontrato sullo scaffale dal Casalingo di Voghera. Non a caso, secondo le elaborazioni fatte dalla Coldiretti sulla base del Rapporto Coop 2009, è al quinto posto nella classifica delle voci nel bilancio familiare che più contribuiscono all’inflazione. Dopo sigarette, canone di affitto, pasto al ristorante e carrozziere. Il fatto che i prezzi al pubblico abbiano seguito dei trend diversi fra una marca di pasta e l’altra dovrebbe essere una garanzia che il cartello non c’è più. Ricordiamo però le parole con cui Guido Barilla, numero uno dell’omonimo gruppo, ”spiegava” su La Stampa martedì scorso gli aumenti. «Ci sono state troppe polemiche, fortunatamente la gente ha compreso le tematiche legate all’andamento delle materie prime e ha riconosciuto nel prodotto di qualità un’offerta stabile, sicura e affidabile per l’alimentazione della famiglia». Sarà, ma ora che le materie prime scendono è obiettivamente difficile spiegarsi come facciano i prezzi a salire ancora. Al ritmo dell’11 per cento l’anno.