Cristiana Lodi, Libero 12/09/2009, 12 settembre 2009
Strangolò l’amica Fra pochi mesi sarà in libertà - Avevano preso la corda con le manopole, quella che da bambine usavano per saltare in cortile
Strangolò l’amica Fra pochi mesi sarà in libertà - Avevano preso la corda con le manopole, quella che da bambine usavano per saltare in cortile. Gliela legarono intorno al collo, come se lei si fosse impiccata. Poi Anna Maria le appoggiò sulla pancia una lettera d’addio, per spiegare il gesto. «Così sembrerà davvero un suicidio. Così avremo compiuto il delitto perfetto», esclamò soddisfatta Maria Filomena. Quattro marzo 1998, è sabato pomeriggio e soffia un vento carogna a Castelluccio dei Sauri: un paese di 54 chilometri di circonferenza nel cuore della Capitanata, qui le due amiche assassine hanno ucciso la loro compagna di banco. Nadia Roccia, si chiamava. Aveva 18 anni e faceva la V° B alle magistrali Poerio di Foggia. Il movente del delitto non è mai stato accertato, anche se i giudici d’appello hanno scritto che «la vittima rappresentava per le due assassine un ostacolo alla loro relazione omosessuale». Eccola, adesso, Maria Filomena Sica. L’esecutrice materiale dell’omicidio è rinchiusa nel carcere di Trani da undici anni, la suora smilza la tiene sottobraccio mentre passeggia lungo il corridoio: «Io mi sono messa alle spalle di Nadia e quando Anna ha spento la luce ho tolto in fretta la sciarpa e gliel’ho legata al collo. Ho cominciato a stringere, ma non voleva morire, ”la nanetta”. Allora, quando è finalmente caduta, le ho premuto forte la mano sul collo. Ed è morta». La confessione, quindi l’ergastolo in assise a entrambe le assassine. Poi 25 anni in appello per un pareggio fra attenuanti e aggravanti, infine la Cassazione che annulla la sentenza e il patteggiamento di anni 21. Fra qualche mese, Mariena uscirà, lo prevede la legge. Anche Anna Maria Botticelli, la complice bionda e bellissima, ha diritto alla semilibertà. Lei è dietro le sbarre a Pisa, dove il carcere è attrezzato per curarla: si è ammalata di sclerosi multipla e non cammina più. Mariena, la bruna, invece si sta preparando a una nuova vita: «Sono iscritta a Economia e Commercio, università di Foggia. Mi mancano due esami alla laurea. Ancora non ho pensato all’argomento per la tesi. Ho studiato, ho studiato tanto in tutto questo tempo». Benedetto Fucci, parlamentare andriese del PdL, è andato a farle visita accompagnato dall’assistente Stefania Campanile: «I benefici di legge esistono e giustamente vengono applicati. Noi restiamo dalla parte di chi ha subìto l’offesa e non da quella di chi ha offeso, ovvio. Ma se esiste anche una sola possibilità, qualunque essere umano deve avere la possibilità di riscattarsi». Mariena è magrissima, ha indosso un fuseaux nero coma la maglietta e i capelli che tiene raccolti dentro un fermaglio. Qui ci sono 29 detenute, madri e figlie trascinate dentro per spaccio internazionale, donne di mafia che aspettano il processo, qualcuna ha finito, ma il marito chissà quando uscirà, se uscirà. C’è chi lavora alla macchina che tesse le calze per i carcerati del maschile, chi sta in cucina addetta alla mensa. Mariena studia. Lo fa in una piccola stanza accanto alla biblioteca, più che una detenuta sembra una educatrice che fa volontariato nel carcere. ordinata, riservata (dice la suora), gli occhiali le danno un aspetto da maestrina, difficile associare le sue mani magrissime e curate a quelle di una strangolatrice. Dice di avere interrotto ogni contatto con la complice, l’amica adorata e di sempre, con lei aveva stretto un rapporto di dipendenza, c’era un legame profondo, qualcosa che le teneva avvinghiate l’una all’altra, fino al patto di sangue: «Già quando ero a Foggia, subito dopo l’omicidio, domandai di cambiare cella. Avevo bisogno di allontanarmi da Anna. Era come se lei mi avesse mangiato, mi sentivo (e se ci penso mi sento ancora) tirata da lei, vincolata. All’epoca dissi che volevo essere spostata di cella senza farle capire che era stata un’idea mia, non so se riesco a spiegare il mio stato d’animo». Pur giudicandole capaci di intendere e volere, gli psichiatri avevano elaborato l’ipotesi di una ”follia a due”. «Anna Maria mi ha fatto uccidere una persona», accusa la Sica, «non so se il termine può essere giusto, ma mi viene da dire che mi ha plasmato... quando eravamo in cella, subito dopo l’arresto, ripeteva che se le cose si fossero complicate per noi, avremmo dovuto fingere di essere pazze. Io rischiato di impazzire davvero in tutto questo tempo». E adesso? A trent’anni compiuti a maggio e la semi-libertà a breve, cosa si può aspettare una giovane donna con un omicidio alle spalle? E il pentimento, si può parlare di pentimento? I giudici scrissero che «nemmeno qualcosa di simile ha mai sfiorato la mente delle condannate, neanche per finta». Sono passati undici anni e la sintesi del pensiero di Mariena oggi è riassunto in un suo scritto: «Penso che ognuno di noi abbia un altro io che tiene nascosto e magari non conosce. Un tempo mi sentivo combattuta fra tre Mariena diverse fra loro e al tempo stesso uguali e unite dal bisogno d’amore, qui dentro ne ho trovato tanto...». Il prossimo anno uscirà, fuori troverà la madre e il fratello. Loro non l’hanno abbandonata e tutte le settimane le fanno visita in carcere. Il padre non l’ha mai conosciuto: è morto quando lei aveva sette mesi. Anna Maria Botticcelli raccontò ai giudici che fu proprio lui a ordinarle di uccidere Nadia Roccia, glielo ripeteva ogni volta che le compariva in sogno. Mariena oggi dice che i sogni dell’amica non le appartengono più: «Guardo alla realtà, la vita dietro alle sbarre non è un sogno». E Nadia? Non una parola per lei che non c’è più. Mariena Sica è stata una detenuta modello e il giudice di sorveglianza dovrà tenerne conto. L’avvocato difensore, Raul Pellegrini, spiega bene cosa prevede la legge e illustra il calcolo: «Undici anni di cella dal 98’ (anche se Sica ha goduto degli arresti domiciliari in attesa del patteggiamento). Tre di condono, altrettanti di benefici maturati». La somma è 17, i due terzi necessari per uscire sono stati scontati.