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 2009  settembre 11 Venerdì calendario

«Vittime e carnefici» era il titolo dell’incontro che si è tenuto giovedì 10 Settembre d’arte Wannabee, a Milano - Alberto Torregiani, vittima del terrorismo da 30 anni su sedia a rotelle e Marco Ferrandi, colui che uccise l’agente Antonio Custra il 14 maggio del 1977 in via De Amicis a Milano; attorno a loro, sulle pareti, i quadri di Mimmo Di Marzio ricordavano anche i tragici fatti di allora

«Vittime e carnefici» era il titolo dell’incontro che si è tenuto giovedì 10 Settembre d’arte Wannabee, a Milano - Alberto Torregiani, vittima del terrorismo da 30 anni su sedia a rotelle e Marco Ferrandi, colui che uccise l’agente Antonio Custra il 14 maggio del 1977 in via De Amicis a Milano; attorno a loro, sulle pareti, i quadri di Mimmo Di Marzio ricordavano anche i tragici fatti di allora. Ce n’è anche uno che riproduce quella foto che divenne simbolo della pazzia: si vede un giovane con il volto coperto dal passamontagna, una pistola impugnata con entrambe le mani, le gambe piegate e allargate per bilanciare il colpo. Quella foto fu scattata da un passante in via De Amicis il giorno in cui fu ucciso Custra, e il giovane che sparava era Giuseppe Memeo. Lo stesso che due anni dopo uccise Torregiani. Il gioielliere, cadendo a terra, lasciò partire un colpo per difendersi e centrò proprio il suo figliolo adottivo, Alberto, tranciandogli la spina dorsale. Ieri sera, per la prima volta, Ferrandi ha incontrato Alberto Torregiani, vittima di Memeo. Avrebbe potuto essere l’occasione per mettere la parola fine sull’odissea giudiziaria di Torregiani: ma i giudici brasiliani hanno rinviato ancora la decisione sull’estradizione di Cesare Battisti, il terrorista protetto dalla gauche caviar che diede l’ordine di giustiziare l’orefice. Pare che dal Brasile pongano questa condizione: sì all’estradizione, ma solo se l’Italia cambia la pena, niente ergastolo ma trent’anni. «A me va bene anche se gli danno trent’anni - dice Alberto Torregiani - Anzi non mi interessa neanche se poi sta dentro trenta, venti o dieci anni. La mia è una battaglia di principio». Battisti con lui ha provato a farsi vivo solo negli ultimi anni, via mail, tramite un’amica giornalista: «Ho avuto l’impressione - dice Alberto - di un uomo freddo». E’ contento di incontrare Ferrandi: «Non lo avevo mai visto prima, credo che sia uno di quelli che si è pentito veramente. A differenza di Toni Negri, che si è rifiutato di incontrarmi». Mario Ferrandi ha 54 anni, un figlio di 24 e un lavoro da collaudatore meccanico. Ha passato otto anni in carcere e quattro in una comunità di recupero, aiutava i tossici a uscire da un altro tunnel. Dal suo non riesce a uscire ancora oggi: «Credo che sia il Paese a non venirne fuori. Le leggi degli anni Ottanta sono state una soluzione all’italiana. I figli delle nostre vittime cercano un abbraccio civile che non hanno mai avuto». Essere definito un carnefice non lo disturba: «Ma credo che le vittime siano state distribuite dall’immaginario collettivo in un modo troppo schematico». Vuol dire che sono vittime anche i terroristi? «Noi fummo vittime della nostra immaturità: culturale, politica e anagrafica. La nostra fu una deriva irrazionalistica. Pensavamo di essere in guerra, vedevamo il pericolo di un golpe fascista, vedevamo le stragi e le bombe su cui ancora oggi non si sa la verità. Bastava un incontro sbagliato per passare dall’estremismo alla banda armata. A me è andata così». Sembrava che potesse venire, ieri sera, anche Antonia Custra, la figlia dell’agente ucciso da Ferrandi. Ma non ce la fa. «Quel giorno è morto mio padre ed è morta mia madre», ha detto. Lei vive appoggiandosi a un analista e ai farmaci. Lo Stato italiano l’ha risarcita offrendole un posto di lavoro da spazzina al Comune di Napoli.