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 2009  settembre 11 Venerdì calendario

IN CLASSE TUTTI MUSULMANI E PER L’ORA DI RELIGIONE SI PREVEDE UN SOLO ALUNNO


ROMA – «Mamma, perché io mi chiamo Fe­derico e non Rachid?», così l’altro giorno si è sentita chiedere la signora Flora Arcangeli da suo figlio, che farà quest’anno la prima elemen­tare. Beata innocenza. Alla scuola «Carlo Pisaca­ne » di via dell’Acqua Bullicante, in effetti, quan­do ormai manca poco al ritorno tra i banchi (lu­nedì 14 settembre) la situazione è questa: il 97 per cento dei bambini iscritti è di provenienza straniera. Un record assoluto. Su 184 alunni, in­somma, solo 6 hanno genitori italiani. Tutti gli altri sono nati o vivono a Roma con le proprie famiglie, ma hanno radici lontane: Cina, Bangla­desh, Ecuador, Perù, Egitto, Marocco, Molda­via, Romania.

La signora Arcangeli, a capo di un comitato di mamme italiane sempre più preoccupate, prevede che quest’anno «l’insegnante di religio­ne rischierà di fare lezione a un solo alunno in tutto l’istituto», data la presenza schiacciante di famiglie di religione musulmana che preferi­scono, durante quell’ora facoltativa, mandare i figli alla vicina scuola coranica.

Già qualche mese fa, la multietnica «Pisaca­ne » finì sui giornali per l’idea della preside, Nunzia Marciano, di cambiare nome all’istitu­to, sostituendo il valoroso patriota del Risorgi­mento col pedagogo nipponico Tsunesaburo Makiguchi («Dopotutto – spiegò la prof – è facilissimo da pronunciare, specie per i bambi­ni di oggi che conoscono tanti eroi giapponesi nei cartoon»). Travolta dalle polemiche, fece un rapido dietrofront. In questi ultimi giorni di vacanza, nel quartiere popolare della Marranel­la (Roma Sud) s’incontrano bambini arabi e ci­nesi che giocano con le biciclette e parlano in romanesco. Si direbbe, a sentirli, che hanno im­parato bene anche molte parolacce dai loro coe­tanei italiani. Il «laboratorio interculturale» vo­luto dalla preside produce lentamente i suoi ri­sultati. Nei corridoi si leggono scritte in tutte le lingue: «uscita», «labasan», «iesire». C’è un gi­rotondo di bambini, dipinto su un cartellone, accompagnato da un dolce pensiero: «Noi sia­mo il timone del mondo». Anche i genitori di questi bimbi, gli immigrati stranieri, sudando sette camicie, sono riusciti pian piano ad inse­rirsi nel tessuto sociale della periferia. Oggi fan­no i fiorai, i pizzaioli, i negozianti. In via Polica­stro, proprio di fronte all’ingresso della scuola, c’è il bar di Zhi Quiang, cinese, che ha iscritto la sua bambina di 5 anni alla materna.

Il problema vero, però, è che intanto le fami­glie italiane se ne vanno, ritirano i figli dalla «Pi­sacane » perché pensano che in mezzo a quella babele di lingue e costumi, i loro figli «non im­pareranno mai bene la grammatica». Così, li iscrivono altrove. Anche i presidi degli altri isti­tuti, però, a sentire le mamme dei bambini stra­nieri, non fanno un gioco pulito. Perché spesso quando le donne si presentano a iscrivere i fi­gli, si sentono dire che non c’è posto, che li met­teranno «in riserva», che «è meglio andare alla ’Pisacane’ perché là prendono tutti».

In effetti è così. E questo fa onore alla presi­de Marciano e al suo progetto multietnico che condivide con tante maestre giovani e aperte al mondo («Roma ormai è come Londra, come New York, di che vi meravigliate?», domanda scandalizzata la prof d’italiano). Il presidente del VI Municipio, Gianmarco Palmieri, del Pd, dice allora che la sfida del futuro sarà proprio questa: «Convincere le famiglie italiane a torna­re a iscrivere i propri figli alla ’Pisacane’». La signora Flora Arcangeli, in conclusione, confi­da nella Gelmini: «Non sono razzista, però se ci fosse una legge che stabilisse un tetto massimo di immigrati per ogni scuola, diciamo il 30 o il 50 per cento, andrebbe meglio. Una scuola col 97 per cento di stranieri, invece, rischia solo di essere un ghetto».