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 2009  settembre 11 Venerdì calendario

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA: TRA I PICCOLI STUDENTI NEMMENO UN ITALIANO


MILANO – Lunedì nella prima , la classe pri­ma elementare sezione unica della Giuseppe Lombardo Radice, nessuno parlerà italiano. Il primo giorno di scuola in questo istituto, con 93 iscritti stranieri su 96, non sarà un giorno facile. Per la prima volta a Milano ci sarà una classe composta da soli stranieri. Un problema che, as­sicurano gli insegnanti, volerà via tra presenta­zioni, scelta dei banchi, primi giochi. E poco con­terà poi se i compagni di banco si chiameranno Khalid, Viosana, Yan o Samir. Quindici bimbi ar­rivati dall’Egitto, dalle Filippine, dalla Romania, dall’Ecuador, dal Marocco.

I genitori degli italiani, negli anni, sono scap­pati da questo istituto a maggioranza «extraco­munitaria ». L’hanno chiamata scuola ghetto, la Giuseppe Lombardo Radice. Qui però, sul confi­ne del quartiere popolare di San Siro, a due passi dallo stadio Meazza, a pochi metri dalle ville del­la Milanobene , l’invasione ha origini e cause lon­tane. Su 6.092 alloggi dell’Aler, l’istituto che ge­stisce le case popolari, solo 1.050 sono affittati a stranieri, mentre quelli occupati sono 458. Nei palazzi quasi totalmente ristrutturati ci sono i cu­stodi, i nomi sui citofoni spesso sono italiani, e ogni giardino ha la sua madonnina e i suoi lumi­ni.

Qui ci vivevano i partigiani, aveva casa (al civi­co 2 di via Preneste) l’anarchico Giuseppe Pinel­li, morto nel mistero di piazza Fontana. Qui, pro­prio sul confine della scuola di via Paravia, in piazza Esquilino, ci passò lo tsunami dell’allar­me sicurezza, con l’omicidio numero otto dei ce­lebri nove delitti in nove giorni del 1999 (l’edico­lante Salvatore Corigliano). In quest’ombelico di Milano, nel melting pot di San Siro, i problemi sono spesso arrivati in anticipo. La presenza de­gli stranieri è figlia dell’abbandono. Quello delle istituzioni che spesso hanno perduto in princi­pio; e quello dei figli dei residenti delle case Aler, che oggi (9 su dieci dicono in parrocchia) lasciano il quartiere dopo aver messo su fami­glia: vita troppo cara. Dove il Comune ha installa­to telecamere anti-spaccio fino in mezzo alle strade, gli italiani rimasti sono quasi tutti pensio­nati. Niente bambini.

Eppure la scuola Radice, con i suoi tigli a but­tare ombra sull’ingresso e le aule colorate, i dise­gni appesi alle pareti, il giardino curato, è diven­tata un caso mondiale. La preside, Agnese Banfi, in questi mesi è stata intervistata dalla televisio­ne romena, dall’emittente di Stato peruviana. Lei ripete che questo è un laboratorio, «il labora­torio della nuova Milano». Gli insegnanti, nono­stante i soliti tagli, hanno fatto e continuano a fare miracoli. Quando in primavera l’elenco dei nuovi iscritti alla prima elementare segnò lo ze­ro alla voce italiani, si fece largo l’ombra degli ispettori ministeriali. Non se ne fece nulla. «Non possiamo costringere i genitori stranieri a iscri­vere i figli in altre scuole», si era difesa la presi­de Banfi. Parole che convinsero il provveditora­to, ma oggi il direttore dell’Ufficio scolastico re­gionale Giuseppe Colosio chiede che per il futu­ro si adottino strumenti di maggiore equilibrio: «Spesso riceviamo lamentele dalle stesse fami­glie straniere. La presenza di alunni italiani è una garanzia per l’integrazione dei figli».

Tra arabian kebap e bazar egiziani, la scuola «straniera» è una realtà quasi inevitabile. Ci so­no, a far da contraltare al degrado di un quartie­re dimenticato, i progetti di inserimento per gli studenti e le famiglie. La Fondazione Cariplo ha investito nella scuola di via Paravia con il proget­to Interculture. Racconta Milena Santerini, do­cente di pedagogia alla Cattolica e direttore scientifico del progetto: «Questa non è la realtà della scuola italiana. Si tratta di eccezioni che pe­rò devono far riflettere. la deriva se non sapre­mo costruire il futuro».