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 2009  settembre 11 Venerdì calendario

L’ULTIMO RITRATTO DI UMBERTO II


Lo chiamarono Re di maggio, un pò per svilirlo, un pò perché regnò nel 1946 soltanto per alcune settimane di primavera. Umberto II era bello, elegante, naturalmente regale nel gesto e nel portamento, ma di personalità sbiadita - almeno così appare nei libri di storia - né troppo fascista né troppo antifascista, oscurato da una moglie travolgente, schiacciato da un padre ingeneroso, forse anche un tantino invidioso. A un profilo opaco, privo di tinte vivaci, tenta di sottrarlo una nuova inchiesta televisiva di Nicola Caracciolo per La grande storia (in onda oggi alle 21.10 su Raitre), ricca di filmati e materiali inediti, nuove testimonianze diaristiche che valorizzano il lato irregolare e ribelle del principe, incapace tuttavia di tradurre in gesto concreto la sua distanza dal genitore sovrano. Una favola triste, sintetizza Caracciolo. Una tragedia umana sullo sfondo d´un secolo tremendo.
Con la tecnica sperimentata da decenni nel documentario storico, Caracciolo va sulle tracce «di ciò che è rimasto inesplorato dietro la muraglia del passato». Se gran parte dell´archivio Savoia è stato volontariamente distrutto, sopravvivono pagine di diario rimaste finora chiuse nel cassetto. Tra le più rilevanti, la testimonianza dell´aiutante di campo, Francesco Campello, che l´8 settembre del 1943 - alla vigilia della fuga da Roma - ritrae Umberto come il più riottoso della famiglia, contrario a lasciare la capitale in quei frangenti, «disperato, «nero» di rabbia. «Dio mio, che figura! Che figura!», urlava al suo attendente, manifestando il desiderio di rimanere a Roma per difendere dignità e buon nome dei Savoia. Una versione confermata dal cameriere di corte, il quale ricorda il figlio del re che chiede di restare nella capitale, mentre la madre - regina Elena - intima al coniuge: «Se rimane Beppo, rimango anche io», scatenando la decisione definitiva di Vittorio Emanuele III di scappare da Roma. Beppo - così chiamavano Umberto - era stato educato a obbedire e obbedì: fuggì a Pescara con gli altri famigliari. Aveva trentanove anni, non proprio un imberbe. Sarebbe rimasto fedele alla memoria del padre anche sul finire dei Settanta, quando incalzato dalle domande di Caracciolo si limitò a rispondere che «era sbagliato fuggire in quel modo», ma non si poteva fare altro. Lo sguardo smarrito, la risatella nervosa, l´espressione irrisolta di chi è abituato a cedere. Signorile e reticente.
Indole mite, sensibile al fascino delle donne che lo ricambiavano - il padre ne troncò la relazione con la soubrette Milly - il principe Umberto era estraneo alle liturgie littorie, sempre più scettico sulla validità del connubio tra monarchia e fascismo. E se i filmati del Luce lo ritraggono a mano tesa al fianco del Führer (Berlino, agosto del 1936), egli guardò con diffidenza all´asse italo-tedesco, partecipando anche lui - pur defilato e prudente - alle trame del partito contrario alla guerra. Sia il diario del cugino Amedeo d´Aosta - viceré dell´Africa Orientale - che le pagine di Umberto Zanotti Bianco, intellettuale antifascista legato a Maria José, documentano sul finire degli anni Trenta un fitto complottare contro il duce. L´esito fu fallimentare, l´Italia precipitò in guerra. E lo stesso principe contribuì al "colpo di pugnale alla schiena".
Ma Umberto non piaceva a Mussolini, che ne ordinò l´esilio dai filmati propagandistici del regime. Dal giugno del 1940 al luglio del 1943 - è Caracciolo a calcolarlo per primo - Umberto vi compare soltanto per un minuto. Troppo bello e troppo poco fascista per stare al fianco del capo del fascismo.