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 2009  settembre 10 Giovedì calendario

NON VOLEVO ESSERE UN VECCHIO CHE GIOCA MALE


Quando Mimmo Calopresti lo chiama per dirgli che vuole fare un film su di lui, ancora prima di esultare, la domanda è: «Ma perché proprio io?». Adriano Panatta è fatto così. Aveva una vaga percezione del suo alone allora, figuriamoci più di trent’anni dopo, che è un quasi sessantenne cementato nello scetticismo. Non ci sono trofei nel suo ufficio romano. L’unica foto è un poster che nemmeno gli somiglia. Così è, quando si nasce figlio di Ascenzio, umilissimo custode del circolo Parioli e gli snob con la puzza sotto la Lacoste ti chiamano Ascenzietto. Oggi che gli capitano tra capo e collo un libro (Più dritti che rovesci, Ed. Rizzoli) e un film (sarà presentato al prossimo Festival del Film di Roma a ottobre) un minimo di tono se lo deve dare. Partiamo da quel ”Ma perché proprio io?”. Sono sempre stato uno di basso profilo, non mi piace fare il piacione. Li odio i piacioni. Detesto quelli che se la tirano. Piacione o no, alla fine le è piaciuta questa storia di raccontarsi due volte, prima nel libro, ora nel film? Sì, mi è piaciuto, perché non dirlo? Sai quelle cose che succedono. Incontri uno sconosciuto, ci stai a tavola, ti alzi e ci sei amico. Così è andata con Mimmo. Lui è un personaggio. Sensibile, appassionato di tennis, quasi un mio coetaneo. Stare con lui mi diverte, è riuscito nell’impresa di farmi rigiocare a tennis dopo non so quanti anni. Simulando il Panatta di allora? No, il Panatta di oggi. Non ci sono attori. Non è una fiction, è un documentario dove la mia storia è la chiave per raccontare l’Italia degli anni 70. Il terrorismo, le stragi, le tensioni sociali. Un libro che è divertimento puro, non solo per chi ama il tennis. I milanesi della Rizzoli all’inizio erano perplessi: ”Un po’ troppo romanesco”. Ma è il mio modo di essere. Io parlo italiano e poi, tac, all’improvviso mi scappa il romanesco. Alla fine è usciverso se questo sbaja ”sta palla...”. Un luogo comune la racconta pigro, quasi indolente, e invece non si è negato niente. Le imprese nella motonautica. Ha fatto anche il politico. Assessore alla provincia di Roma con Enrico Gasbarra presidente. Esperienza durissima. Se decidi di fare un impianto sportivo in un’area degradata, devi chiedere 250mila permessi e intanto t’hanno cambiato la giunta. E poi i pregiudizi. Se sei un ex sportivo e pretendi di fare politica ti guardano strano. Una cosa che mi fa molto incazzare. Detto delle disfatte economiche, parliamo di quelle sentimentali. Mai avute, giuro. Anche perché, dopo trentacinque anni, sono ancora innamorato di mia moglie Rosaria. Il giorno che l’ho vista, mi sono detto: ”Basta, questa me la sposo, fine dei discorsi”. Il classico colpo di fulmine. Mi vedo bene invecchiare insieme a lei. Con gli anni, dopo che ho smesso, ho imparato ad essere un marito migliore e un padre più presente. Le donne che invecchiano le fanno tenerezza o malinconia? Le donne che vogliono rimanere giovani mi fanno più tenerezza di quelle to un libro che è come stare in casa di amici o al ristorante, dove sono tutti di buon umore e ognuno racconta la propria vita. Il gioco della leggerezza prevale anche quando la vita diventa un incubo. Sto per entrare in campo e mi comunicano che la mia impresa di abbigliamento sportivo era fallita. Ero tornato di colpo povero in canna. Per mia fortuna, all’epoca ancora giocavo e guadagnavo. Per capire l’entità della tragedia? Un miliardo e mezzo nel 78. Sono tanti soldi. Mi sono venduto una casa a Londra per pagare tutti i dipendenti fino all’ultima lira. C’è chi, per molto meno, si mette una corda al collo. Non sono mai stato uno di quelli che si piange addosso. Mi ha aiutato il mio tennis. Ero un giocatore ottimista, ai limiti dell’azzardo. Rischiavo, facevo sempre banco. E poi m’inorgogliva questo fatto di essere l’unico giocatore di un certo livello ancora in attività che fosse anche imprenditore. Fu un’enorme puttanata, ma alla fine ho campato uguale. La partita in cui ha rischiato l’impossibile? Quando salvai undici match point a Roma, nel torneo che poi vinsi. E a Parigi, sempre nel 76, la finale con quel sorcio maledetto di Solomon. Era l’anno della siccità, faceva caldo, non stavo in piedi. Al tie-break decisivo dell’ultimo set decido di fare banco, rischio su ogni palla e vinco. Alain Delon disse: ”Il giorno in cui compirò sessant’anni mi ammazzerò”. Forse non s’è accorto d’averli compiuti... Alla morte comincio a pensarci, anche perché nel frattempo ho perso mio padre e mia madre. Credo che la fede sia un privilegio. Io faccio fatica a credere, anche se mi piacerebbe immaginare un al di là. Possibilista? Non sono mai stato un ateo. Da giovane mi raccomandavo come una carogna quando giocavo. Parlavo con il Supremo. ”Che te costa? Faje sbaja ”sta palla. Che può cambiare nell’universo se questo sbaja ”sta palla...”.
Un luogo comune la racconta pigro,
quasi indolente, e invece non si è negato niente. Le imprese nella motonautica.
Ha fatto anche il politico.
Assessore alla provincia di Roma con Enrico Gasbarra presidente. Esperienza durissima. Se decidi di fare un impianto sportivo in un’area degradata, devi chiedere 250mila permessi e intanto t’hanno cambiato la giunta. E poi i pregiudizi.
Se sei un ex sportivo e pretendi di fare politica ti guardano strano. Una cosa che mi fa molto incazzare.
Detto delle disfatte economiche, parliamo di quelle sentimentali.
Mai avute, giuro. Anche perché, dopo trentacinque anni, sono ancora innamorato di mia moglie Rosaria. Il giorno che l’ho vista, mi sono detto:
’Basta, questa me la sposo, fine dei discorsi”. Il classico colpo di fulmine.
Mi vedo bene invecchiare insieme a lei.
Con gli anni, dopo che ho smesso, ho imparato ad essere un marito migliore e un padre più presente.
Le donne che invecchiano le fanno tenerezza o malinconia?
Le donne che vogliono rimanere giovani mi fanno più tenerezza di quelle che accettano la vecchiaia. Mi fanno tenerezza anche quelle che si rifanno.
Non è il sentimento dell’orrore che prevale. Alle amiche di Rosaria dico sempre scherzando: ”Arrendetevi” e loro mi mandano a fanculo.
Come invecchia Rosaria?
Lei è tre anni più giovane di me ed è ancora bellissima. Si alza alle 7 e 30, va in palestra, nuota, cammina.
Fidanzate famose. Mita Medici e Loredana Bertè quelle citate nel libro.
Mita, che poi si chiama Patrizia, l’ho rivista solo un paio di volte da allora.
Un ciclone di donna. Non ne so più niente. Si è sposata?
E Loredana?
Faceva la ballerina quando l’ho conosciuta.
Un giorno mi fa: ”Oggi abbiamo appuntamento con un amico,
sotto il balcone del duce a piazza Venezia. Arriva uno vestito da marziano,
tutto metallizzato. Era Renato Zero. Io tutto elegante. ”Do’ annamo col marziano?”, le chiesi”.
Ha lasciato Mita per scappare con Loredana.
L’ho frequentata per un anno, senza neppure vederla tanto. Non è stata una storia così importante come quella che lei ha avuto poi con Borg. Loredana si confonde quando parla di noi. Fa un casino. Va in televisione e s’inventa che fui io a presentarle Bjorn. Lui all’epoca aveva 14 anni....
Parabola malinconica la sua.
Mi dispiace. Quando c’incontriamo con Renato Zero, alla fine la domanda è sempre la stessa: come sta Loredana?
Hai conosciuto la sorella?
Mimì era molto tormentata. Si vedeva che aveva dentro qualche turbamento.
Mentre Loredana, allora, era una donna solare, una forza della natura.
Un amore libertino a leggere il libro.
Avevo 23 anni, ero un fiore. Avevamo la stessa età io, Loredana e Mita.
Sarà Paolo Villaggio a presentare il libro.
Paolo era un razzo quando giocava a tennis con me, velocissimo. Ha una tempra pazzesca. Un altro, al posto suo, sarebbe morto sei volte. Vittorio Gassman voleva sempre vincere. Ugo Tognazzi mi faceva troppo ridere.
Nel suo libro Bjorn Borg risulta il personaggio più interessante.
Era uno compresso dentro. Lo chiamavo
’vichingo di merda”. Lui sorrideva.
Lo prendevo per il culo. ”Tirchio di merda”, gli dicevo. Al contrario, è un uomo generosissimo e pazzo.
La sua pazzia?
A 26 anni è esploso di testa. Colpa della sua dedizione assoluta al tennis.
Si poteva bere qualsiasi cosa e non si ubriacava. Lo vedevo bere e gli dicevo:
’Mo’ mori, devi morire”. E lui niente.
Fisicamente è un superman, fatto d’acciaio. A Marbella, in partita mi fa un culo così. Io, al cambio di campo,
gli sputavo e lui rideva. La sera prima l’avevamo portato a casa a braccia io e Gerulaitis. Era un solitario Borg. A un certo punto spariva. Guardavi in giro e mancava sempre quella più bella. Era un sorcio, il vero sorcio del Bronx.
Lui s’invaghì della Bertè forse anche perché era stata la sua donna.
Non gliene fregava niente che era stata la mia donna. Era svedese lui. C’incontrammo tutti e tre solo una volta,
quando Borg voleva tornare a giocare e mi chiese di dargli una mano. Arriva la Bertè un giorno e mi spiega come dovevo allenarlo. Bjorn pretese di tornare a giocare con la sua vecchia racchetta di legno. Era un capoccione di merda.
Mai sfiorato Panatta dalla tentazione di tornare?
Non esiste proprio. Mi mettono tristezza i tornei over, le partite del cuore.
Quando li incontro quelli gli dico: siete dei vecchi che giocano male.
Il personaggio più odioso?
Ivan Lendl. Uno stronzo vero. Arrogante,
molto duro. Io non sopporto quelli che non hanno il senso dell’umorismo,
non li tratto proprio.
Adriano Panatta e Nicola Pietrangeli.
Un giorno il figlio del custode Ascenzio batte il campione dell’aristocrazia tennistica in guanti bianchi.
Io e Nicola siamo gli opposti. Nicola è Nicola. Un eterno ragazzo. Gli è sempre piaciuto frequentare la mondanità,
persone che a me non me ne può fregare di meno. Lui fa vita di circolo, io se posso evito. Fu una vittoria emblematica la mia. La svolta. Da lì partì il boom del settore, a cominciare dall’abbigliamento del made in Italy. Il tennis diventò uno sport di massa.
A Nicola gli hanno dedicato uno stadio da vivo.
Potevano aspettare qualche decina d’anni. Io non ci tengo. Onestamente non me ne frega niente. Nemmeno da morto.
Quella volta della vittoria di Coppa Davis in Cile. Era il Cile di Pinochet. La sinistra italiana voleva il boicottaggio.
Sono sempre stato di sinistra, ma non mi piacciono i fanatismi. Alla fine,
Berlinguer ci aveva ripensato. E comunque io volevo andare e vincere.
Il pubblico cileno fu straordinario, il migliore che abbia mai incontrato, ma l’aria era molto pesante.
Nel tennis è crisi nera. Dal 1976, più di trent’anni senza più vincere nulla.
Oggi ci salvano le donne nello sport.
Non potevo essere io il modello da imitare. Panatta era talento puro. Più facile rifarsi a uno come Bjorn Borg,
tenere un ragazzo cinque ore al giorno ad allenarsi contro un muro. Ma noi non abbiamo la testa per fare questo.
Il problema è delle scuole. Non capire,
come hanno capito in America, che se investi un euro nell’attività motoria te ne tornano dieci in salute. I bambini di oggi fanno una vita d’inferno. Escono da scuola e si devono fare ore di danza,
nuoto, ginnastica, calcio. Tutto sbagliato.
Lo sport va fatto a scuola.
Lo guarda il tennis di oggi?
Guardo solo Roger Federer. Come gioca a tennis lui, non ho mai visto nessuno.
Guardo Nadal perché mi stupisce dal punto di vista fisico e caratteriale. Un po’ Murray. Gli altri mi annoiano.