Giulia Cazzaniga, Libero 10/9/2009, 10 settembre 2009
LA BIBITA DELLO SCANDALO
Il marketing insegna che il brand, il marchio, è tutto. Se si afferma, il gioco è fatto: non c’è crisi che tenga. Un’azienda di Padova - la Distillerie Bagnoli - ha avuto in merito una pensata geniale. Ha un gusto dolciastro, non è alcolica ed è leggermente frizzante. Niente di speciale, se la si prova. Ma è proprio il nome, che non si può dimenticare: Fi.gà. Ovviamente basta togliere i puntini e l’accento, e l’allusione neanche troppo nascosta diventa lampante, anche se in teoria sarebbe un acronimo di ”fiori di guaranà”, che sembra abbiano proprietà tonificanti, aiutino la concentrazione e diminuiscano l’appetito.
Su questa pensata i Bagnoli, che nel business delle bevande vivono dal 1950, hanno costruito un prodotto che nei locali più ”in” dell’estate ha davvero spopolato. La notizia è che sembra non abbiano speso nemmeno un euro per la pubblicità. Niente supermarket, per la distribuzione, ma posti glamour e alla moda come la Mostra del Cinema di Venezia, il Twiga di Marina di Pietrasanta e il Papeete di Milano Marittima. In un anno sembra che la bibita, in una bottiglia bianca ma con il nome ben in risalto, sia stata acquistata da 12 milioni di persone. In questi giorni il responsabile delle distillerie, Giovanni Bagnoli, è volato in Russia dove l’’italianata” rischia di avere un certo successo. Stringerà nuovi accordi, spiegano dalla ditta. L’idea però ha scatenato polemiche e creato un vero e proprio giallo. Ieri, sul sito internet del Mattino di Padova, si ventilava l’ipotesi di un ricorso da parte del ministro Mara Carfagna contro il nome della bibita. Cosa poi smentita dallo stesso ministero delle Pari Opportunità, che spiega di non poter intervenire su un marchio commerciale.
Mara Carfagna in questi giorni ha ben altro a cui pensare, con un G8 contro la violenza sulle donne in corso a Roma. Anche dall’azienda in serata hanno smentito, precisando però che un’associazione di femministe avrebbe preso nel mirino il brand padovano, mandando un’istanza che non ha però avuto seguito, al ministero. Online non mancano in effetti le donne a cui la strumentalizzazione della parola - niente affatto da bon ton, per altro - proprio non va giù. Mentre i maschi si sprecano ovviamente con allusioni del tipo ”Viva la f.”, ”Datemi una f.” e chi più ne ha più ne metta, le donne chiedono sui blog perché non ne inventino una, di bevanda, con un nome dedicato al maschile, senza discriminazioni.
Altre si fanno problemi più etici e c’è anche chi chiede, come Andrea89, cosa mai direbbe un prete se si trovasse la bottiglietta in bella vista sul balcone del bar. Alcune ragazze poi ammettono di non avere il coraggio di provarla: come chiederla al bar, scrivono? Polemiche o meno, si sa, è tutta pubblicità. I creatori ne erano ben coscienti. Sul sito internet fioridiguarana.it spiegano infatti che l’idea è destinata a spazzare via la pubblicità tradizionale. «Occorre che la ”novità” sia ”straordinaria”, sia cioè una "mucca viola"», scrivono infatti. E per farlo bisogna anche rischiare «di essere "volgari", "troppo cari", "brutti", ”inutili” ma mai banali». Oltre alla spiegazione del successo, però, i creatori aggiungono una buona dose di morale: «Ci siamo stancati dei falsi perbenisti che si scandalizzano di fronte alla possibilità che un bambino possa pronunciare "la fatidica parola" mentre con assoluta naturalezza e civiltà naturalmente, i genitori magari si separano dopo feroci scontri davanti ai loro figli». E non è finita qui: «Non è forse più "volgare" lasciare i nostri bimbi per ore davanti al trasmissioni "demenziali", purché ci lascino liberi di fare i nostri comodi? Non è forse più "ipocrita" con la scusa della pubblicità, della notorietà, e della assoluta liceità, utilizzarli come burattini in spot pubblicitari, in film di cassetta e anche impegnati, in sfilate come finti e finte "baby mannequins"?». Ai consumatori l’ardua sentenza.