Gian Antonio Orighi, La stampa 10/9/2009, 10 settembre 2009
PIU’ TASSE IN SPAGNA STANGATA DA 15 MILIARDI
Dietrofront. Dopo aver sostenuto per anni che «tagliare le imposte è di sinistra», ieri il premier socialista Zapatero ha contraddetto se stesso anticipando alle Cortes un aumento dei balzelli di 15 miliardi di euro, l’1,5% del Pil. Circa 800 euro a testa che dovranno scucire i 20 milioni di famiglie spagnole. Intanto, il bollettino di guerra della crisi economica spagnola sforna dati sempre più preoccupanti. «Alla deriva», chiosa persino il filo-socialista El País.
«L’obiettivo è garantire gli ammortizzatori sociali e gli investimenti in infrastrutture, oltre che ridurre il deficit - ha sottolineato il premier -. Comunque, la pressione fiscale rimarrà inferiore a quella del 2004 (quando Zapatero andò al potere, ndr) e notevolmente inferiore a quella europea». La pressione fiscale in Spagna arriverà al 34,1% (contro il 34,5% nel 2004).
«Tarderemo a digerire la crisi economica», mette le mani avanti Zapatero. La Spagna socialista è maglia nera dell’occupazione Ue con 3,62 milioni di senzalavoro ad agosto (1 milione in più in un anno), un tasso del 18%; il prodotto interno lordo del secondo trimestre ha registrato -1,1% (il peggiore dell’Ue); per creare nuovi posti di lavoro, l’economia deve crescere almeno del 2 o 2,5%. Ancora: il deficit pubblico previsto dal Banco di Spagna a fine anno è del 12% del Pil, ossia sui 127 miliardi di euro.
«Non c’è aumento dei balzelli capace di tappare il buco che il governo ha creato nel deficit pubblico» ha stigmatizzato Rajoy, leader dell’opposizione popolare (di centrodestra). «Zapatero impoverisce gli spagnoli con misure incoerenti e inefficaci che produrranno più crisi, più disoccupazione e non risolveranno il debito sempre più in rosso».
«L’economia spagnola sarà una di quelle che più tarderà a uscire dalla recessione - tuona El País - e tra le ragioni vanno annoverate la dispersione e la scarsa efficacia delle misure di Zapatero». Un j’accuse durissimo, confermato anche dalle plumbee previsioni del ministro del Lavoro, Corbacho, per cui la disoccupazione potrebbe toccare anche il 20% della popolazione attiva, ben 4,6 milioni di senzalavoro (1 milione in più di quelli attuali).
Anche altri segnali fanno vedere nero. L’indice della produzione industriale diffuso ieri rileva la caduta libera negli ordini, con una discesa nello scorso luglio del 17,4%, e il flop che dura da 15 mesi consecutivi. L’unica buona notizia per Zapatero è giunta da Moody’s, che ha dichiarato di non abbassare la massima stima creditizia (le famose 3A) al debito pubblico spagnolo.
«Chiedo solo introiti aggiuntivi per solidarietà con i disoccupati. Da quando governo ho tagliato imposte per 20 miliardi di euro (è avvenuto nel 2007 e ha beneficiato sia le imprese sia i contribuenti, ndr). Adesso chiedo indietro una cifra inferiore», ha cercato di difendersi il premier.
«L’aumento delle imposte non aiuta a crescere né l’economia spagnola, né nessun altra. Non mi sembra una buona idea, anche se bisognerà conoscere i dettagli - dice a La Stampa l’economista David Taguas, presidente della Seopan, la Confindustria dei grandi costruttori spagnoli, ed ex consigliere economico di Zapatero-. E l’obiettivo di vendere 400 mila case, senza un piano governativo ad hoc, mi sembra molto arduo».
Pur se in una situazione politica completamente diversa, la Spagna sperimenta molte delle difficoltà dell’Italia, e questa somiglianza sarà riflessa nell’agenda del vertice italo-spagnolo fra Zapatero e Berlusconi oggi alla Maddalena: in campo economico si parlerà di collaborazione industriale (soprattutto Enel-Endesa e iniziative nel settore della difesa) e del progetto delle «autostrade del mare». Poi di lotta all’immigrazione clandestina (nonostante recenti incomprensioni, Italia e Spagna condividono di fatto la linea dei respingimenti) e di molti temi di politica estera. Madrid avrà la presidenza semestrale di turno europea dal 1° gennaio.