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 2009  settembre 10 Giovedì calendario

ANCHE VIRGILIO BEVE WHISKY


La guida di Kingsley Amis nei gironi infernali (e nei paradisi) dell’alcol

Tutti sanno, più o meno, che l’ar­te della distillazione è nata giu­sto in tempo per vedere l’alba della civilizzazione umana (ci sono antichi poemi, mosaici e robe di quel genere che commemorano e cele­brano l’avvenimento), ma è altrettanto noto che una bottiglia di alcol aperta può portare sia in paradiso che all’infer­no. Se le cose stano così – e un giorno potremmo anche dedicarci a studiare il motivo per cui usiamo una parola italia­na nata per indicare un contenitore per il vino, fiasco , nel senso in cui la usia­mo – allora è bene avere un Virgilio che ci faccia da guida nei gironi inferna­li e nei cieli del paradiso. Quando si parla di bevande, lo scom­parso Sir Kingsley Amis (che scrisse que­sti agili volumetti prima di essere nomi­nato baronetto e che era anche un esper­to in questioni quali l’origine della paro­la fiasco ) è quello che gli irlandesi chia­mano «il vostro uomo». Forse ancor più che non su Graham Greene, di cui una volta scrisse una breve biografia, si può dire su di lui che l’alcol sia stato la sua musa. Non riesco a pensare a una sola delle sue opere di narrativa in cui l’alcol non abbia un ruolo e in alcuni dei suoi romanzi tale ruolo è dominante. La fa­mosa scena del giorno dopo nel roman­zo Jim il fortunato , non eguagliata, nella nostra letteratura, neanche da quella shakespeariana del portiere notturno, ha un unico rivale cui riesca a pensare: l’agghiacciante momento del risveglio di Peter Fallow nel Falò delle vanità di Tom Wolfe. Altri libri di Amis, come Un inglese grasso o L’uomo verde , conten­gono alcuni incidentali ma coloriti consigli sul come bere rimanendo in piedi.

 stato detto che l’alcol è un buon servitore e un pessimo padrone. Carina questa. Il fatto puro e semplice è che l’alcol rende gli altri, e in verità la vita stessa, molto meno noiosi. Kingsley afferrò questa basilare verità molto presto nella sua vita e non l’abbandonò mai. Questo non vuol dire che non vi siano vini o whisky di malto noiosi o che certa gente non diventi ancor più noiosa dopo aver bevuto. Ne incontrerete e imparerete a riconoscerli (e a tenerli a bada) in queste pagine.

Secondo me lo stesso Kingers – co­me mi veniva concesso di chiamarlo – era egli stesso un po’ noioso riguardo ai cocktail. O forse doveva esserlo per po­ter mantenere la sua rubrica su un perio­dico destinato a un pubblico maschile. Nella vita «reale», Amis era un bevitore pieno di discernimento, per nulla incli­ne a far sprecare tempo prezioso a un barman con astruse istruzioni. C’è, co­munque, un’eccezione che credo di po­ter individuare a posteriori, collegata al­la sua forte ammirazione per i romanzi di Ian Fleming. Cosa fa esattamente Ja­mes Bond quando specifica che tipo di Martini vuole e come vuole che venga preparato? In pratica, sta dicendo al bar­man che sa di cosa parla e che non lo si può prendere in giro.

Ho appreso la stessa lezione quando lavoravo come critico di bar e ristoranti per il «City Paper» di Washington. Do­po essermi stufato di gente che chiede­va «un Dewar’s con acqua» invece di «uno scotch con acqua», decisi di chie­dere a un barista di fiducia cosa mi sa­rebbe stato servito se non avessi specifi­cato la marca della bevanda che volevo. La risposta fu un confidenziale gesto del pollice in direzione di una brocca dall’aspetto assai poco rassicurante si­stemata sotto il bancone. La situazione peggiorava con gin e vodka e diventava addirittura imbarazzante parlando di ge­nerico «vino bianco», cosa che ancor og­gi non sopporto sentire ordinare. Se non esprimete chiaramente la vostra preferenza, allora la vostra bevanda sarà come una brutta mano di poker o un rapido acquisto di droga: sarà tutto ciò che il venditore dice che sia. Cercate di ricordarvelo, per favore.

Una cosa eccezionale relativa a King – alcuni di noi erano autorizzati a chiamarlo anche così – era la sua assoluta idiosincrasia per le buone maniere. Da lui ho appreso la ruvida regola che vigeva nella sua stessa casa, molto più diretta e meno educata di quanto descritto nella prima parte di questo libro. Suonava più meno così: «Vi verso il primo giro dopodiché, se non bevete abbastanza, è un vostro problema: sapete dov’è la roba ». Da allora lo dico sempre ai miei ospiti. Leggendo queste pagine com­prenderete la severa posizione che pren­deva contro ogni tipo di parsimonia. Nel rituale del servire da bere, il punto fon­damentale è la generosità. Se aprite una bottiglia di vino, per l’amor di Dio, butta­te via il dannato tappo. Se siete ospitati e non ospitanti, non arrivate al punto di lasciar cadere per terra il vostro bicchie­re per poi esclamare (come Amis fece una volta davanti a me): «Oh, grazie al cielo era vuoto!». Il tipo di padrone di casa a cui è necessario dire una cosa del genere è il tipo di padrone di casa che avreste dovuto evitare fin dall’inizio.

Le conseguenze di tanta generosità so­no a volte pesanti. Non fate a meno di leggere il brillante capitolo sul Giorno Dopo, «fisico» e «metafisico». un vero e proprio esempio di ricerca condotto da un pioniere. Può risparmiare un gran­de dolore, che può essere evitato e, per quanto ne so, lo ha fatto. Grazie all’eccel­lente biografia di Zachary Leader, oggi il mondo sa ciò di cui gli innumerevoli amici di Amis si erano alla fine resi con­to e cioè che, alla fine, l’alcol prese il so­pravvento su di lui, derubandolo, oltre che della salute, anche della sua intelli­genza e del suo fascino. Ma non tutti rie­scono a seguire i propri stessi consigli, o almeno non per sempre, e gli allegri e saggi suggerimenti da lui dispensati, ca­ri lettori, non vi porteranno fuori strada. Winston Churchill una volta si vantò di aver ottenuto dall’alcol molto più di quanto l’alcol avesse ottenuto da lui e, essendo la vita la scommessa che è, pro­babilmente non si sbagliava affatto. In queste pagine incontrerete un altro uo­mo che ha fatto sì che l’alcol lavorasse per lui e anche per molti altri.