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 2009  settembre 10 Giovedì calendario

CASE, MACCHINA E MOGLI PER IL LANCIATORE DI SCARPE


Bagdad attende come un eroe l’uomo che sfidò Bush

«Quando tornerà libero Munta­zer al-Zaidi?». Una domanda che va­le oro: giacca bianca, una telecame­ra al seguito, il presentatore di tele­quiz Hashim Selman si fa riprende­re in una strada di Shole, quartiere sciita di Bagdad. «Allora, quando esce il nostro eroe?». Un ragazzino risponde: « già uscito». Una signo­ra lo corregge. «Lo liberano lunedì 14 settembre. E a celebrarlo ci sarà tutta Bagdad».

Risposte esatte. Alla signora va il premio del telequiz, una collana d’oro dentro una scatola rossa. Il presentatore di Al Baghdadiya ri­sponde fuoriscena al Corriere : «Sì, c’è grande fermento per il rilascio di Muntazer. Faremo una grande fe­sta. l’idolo della gente, l’eroe de­gli iracheni».

E non solo. Dalla Palestina al Ma­rocco, il giornalista che nel dicem­bre scorso tirò le scarpe contro Ge­orge Bush durante la sua ultima conferenza stampa a Bagdad è di­ventato un eroe del mondo arabo, un simbolo per chi vede nell’Ameri­ca il volto dell’imperialismo. In Tur­chia l’hanno messo nei giochi per bambini, in Egitto sulle T-shirt. Il direttore di Al Baghdadiya , la tv pri­vata per cui Montazer ha lavorato come cronista dal 2005, ha una li­sta che non finisce più: «Un irache­no che vive a Rabat ha chiamato per offrirgli la figlia in sposa – rac­conta Abdul Hamid al-Saji ”. Un saudita era disposto a pagare 10 mi­lioni di dollari per le scarpe. Un al­tro marocchino ha offerto un caval­lo con la sella d’oro. Dalla Palestina hanno chiamato molte famiglie, donne che volevano sposare Mun­tazer » .

E adesso? Bush è uscito di scena. Lo scarparo di Bagdad esce di pri­gione. Il primo nel dimenticatoio, il secondo nella gloria.

Condannato a tre anni, poi ridot­ti a uno, poi a dieci mesi. Cosa si aspetta? Cosa troverà? Ci sarà dav­vero un harem ad accoglierlo? Il quotidiano britannico The Guar­dian ha mandato un inviato a Na­blus, nei Territori Occupati, dove nel dicembre scorso Ahmed Jouda vendette metà delle sue capre per contribuire alle spese del processo contro l’«eroe di Bagdad». Oggi il 75enne Jouda vuole mantenere la promessa: «Allora dissi che gli avremmo dato in sposa una delle nostre figlie. Siamo gente di paro­la. Se vuole, c’è una sposa palestine­se rivestita d’oro che lo aspetta».

Di sicuro ad aspettarlo ci sarà la banda e un gregge di pecore da im­molare in segno di ringraziamento. Il fratello Uday racconta al Corriere che «tutte le tribù irachene, da Ra­madi a Nassiriya, sciiti e sunniti, manderanno delegazioni per cele­brare il ritorno di Muntazer». Ci sa­ranno i tamburi di vari gruppi mu­sicali. «E molte persone a Bagdad stanno preparando il banchetto di ringraziamento», carne di pecora arrostita nelle strade.

Non sarà una festa di Stato, ma di popolo sì. vero che a gennaio il governo ordinò la rimozione di una statua in suo onore, una scar­pa dorata di oltre tre metri piazzata davanti all’orfanotrofio di Tikrit.

Perché l’orfanotrofio? Per ricor­dare le parole che il reporter rivol­se a Bush lanciando i suoi stivali, 20 parole che molti iracheni hanno imparato a memoria: «Questo è il tuo bacio d’addio, cane. Questo è per le vedove e per gli orfani irache­ni » .

In un Paese che resta insanguina­to e diviso, il decaduto George Bu­sh è un bersaglio facile e unifican­te. E Montazer, sciita di Sadr City, con il suo 45 di piede e di coraggio può ben essere una bandiera anche per i sunniti. Esce di prigione con un dente in meno, due costole e una gamba malridotta per le botte. Ma lui stesso pensava di finire peg­gio. «Era sicuro che le guardie di Bush gli avrebbero sparato all’istan­te – racconta il fratello Maitham ”. Ha sempre creduto che sarebbe morto da martire, o per mano di Al Qaeda o degli americani».

Invece ricomincia da una casa nuova. A novembre compie 30 an­ni. Lui che viveva in un buco in af­fitto (e più spesso dalla sorella) adesso avrà quattro stanze da letto regalo della sua tv. E un’auto. Altri regali arriveranno. E magari una o più mogli. «Ma non vuol più fare il giornalista», dicono i fratelli. Farà il politico? «Il suo sogno è aprire un orfanotrofio».