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 2009  settembre 09 Mercoledì calendario

LA LAUREA D STIPENDI PI ALTI SOLO AGLI UOMINI

Solo negli Stati Uniti i datori di lavoro apprezzano ( e pagano) una laurea più che in Italia. Da noi, però, arrivare al titolo di dottore non è semplice, perché il sistema è inefficiente e gli atenei italiani perdono per strada il 55% dei propri iscritti (contro il 31% della media Ocse), e fin dalle prime tappe del percorso le difficoltà sono tante e condizionano i risultati. Non è colpa di rettori e professori, invece, i risultati della laurea, nei termini molto concreti del ritorno economico, in Italia sono apprezzati quasi solo dagli uomini; gli stipendi italiani al femminile soffrono in tutti i livelli professionali, e nemmeno la laurea è in grado di capovolgere la sentenza.
I dati sono quelli diffusi ieri dall’Ocse, che nel confronto fra i sistemi educativi dei paesi avanzati quest’anno ha puntato l’attenzione sui benefici economici dell’investimento in formazione. «Mentre emergiamo dalla crisi economica globale, la domanda per l’educazione universitaria sarà più elevata che mai», sottolinea il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, e tocca ai governi rispondere con «gli investimenti sul capitale umano per favorire la ripresa».
Per un uomo, una laurea nel curriculum vale in media 322mila dollari ( cioè 222mila euro) lordi di guadagni che nel corso della propria vita lavorativa non avrebbe ottenuto se avesse chiuso i libri dopo il diploma. Solo negli Stati Uniti la laurea vale di più (367mila dollari), mentre gli altri grandi paesi europei oscillano fra i 175mila dollari della Germania e i 104mila della Spagna. Anche tasse, contributi e costi sostenuti per arrivare al titolo si rivelano in Italia meno pesanti della media, mangiandosi il 46% del reddito extra contro il 54% degli Stati Uniti e il 72% di Francia e Germania. Il problema arriva con le differenze di genere: il guadagno extra ottenuto da una donna grazie alla laurea vale in media il 72% rispetto a quello di un uomo, ma in Italia il benefit delle laureate si ferma al 42,4% di quello dei colleghi maschi. il dato peggiore dei paesi Ocse (fra i quali spiccano i casi di Corea del Sud e Spagna che premiano le donne più degli uomini), e quasi azzera il vantaggio economico dello studio: al netto di tasse e costi vari, rimangono meno di 18mila euro in più da accumulare lungo tutto il corso della vita lavorativa.
Nella lunga teoria di dati passati in rassegna dall’Ocse fanno poi capolino i vizi storici del sistema educativo italiano, alcuni dei quali già messi nel mirino delle riforme di scuola e università avviate in questi mesi. L’Italia per esempio è ai vertici mondiali, battuta solo dal Cile, per le ore passate in classe tra i 7 e i 14 anni (sono oltre 8mila, contro le 6.645 della media Ocse) e per il numero di persone che si occupano degli studenti (156,4 tra insegnanti e altro personale ogni mille allievi; nella media dei 30 paesi sono invece 116,3), ma tanto impegno non ha riscontri nei risultati sull’apprendimento registrati dalle indagini internazionali.
Ha buon gioco, di conseguenza, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini nel sottolineare che «il rapporto conferma che è indispensabile accelerare sulla via delle riforme, anche perché la spesa per studente in Italia è superiore alla media Ocse e occorre spendere meglio le risorse che lo Stato investe nella scuola». Non ci sono sono i tagli, però, in cima all’agenda indicata da Parigi. L’Ocse sottolinea anche che gli insegnanti italiani sono pagati meno dei loro colleghi stranieri e soprattutto «sono lasciati soli », senza che nessuno valuti il loro lavoro come ormai capita ovunque, Bulgaria e Romania comprese. Anche su questo versante, assicura il ministro, un intervento in nome della meritocrazia «non è più rinviabile».