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 2009  settembre 09 Mercoledì calendario

«CARO JOHN», «DIMMI PAUL»: I DIALOGHI INEDITI


Non credo che agli esordi George Martin fosse così convinto della nostra abilità musicale», dice John Lennon. «Non avevamo ascoltato nulla di rock’n’roll fino a due anni prima», gli risponde Paul McCartney. D’accordo, i bluesman dicono sempre: «Let the music do the talking», lasciate che a parlare sia la musica. Ma talvolta le canzoni hanno bisogno di parole, si lasciano illuminare più a fondo, si spiegano, ecco. Nel dvd che esce oggi nel cofanetto The Beatles 09.09.09, ci sono proprio loro, i Beatles, che parlano mentre registrano i brani oppure dopo averli incisi. Frasi inedite o quasi, chiacchiere in libertà, libero identikit di come sono nate le canzoni che chiunque nel mondo ha ascoltato almeno una volta, dovunque viva. Un documento preziosissimo per i collezionisti. Un documento inevitabile per chi voglia capire come quattro ragazzetti abbiano cambiato il mondo ancora prima di capire che potevano farlo. «Il primo album è stato registrato - dice John Lennon - in un’unica sessione lunga dodici ore e l’ultima canzone in scaletta era Twist and shout, che quasi mi uccise». Perché? Lo spiega McCartney: «Lui masticava tutto il giorno le Zoobs, quelle caramelle per la gola e alla fine dovette registrare Twist and shout ben sapendo che era meglio tenersela per ultima perché avrebbe dovuto raschiarsi la gola per completarla. stato grande, e si può ancora ascoltare sul disco». Era il marzo 1963. Nove mesi dopo, il 22 novembre, proprio il giorno in cui Kennedy fu ucciso a Dallas, uscì With the Beatles e George Harrison dice: «La mia prima canzone l’ho scritta qui», mentre Ringo Starr fa il riassunto più semplice del perché una band nasce: c’è sintonia, spesso sintonia inconsapevole, a distanza: «Quando sono entrato nei Beatles, ciascuno di noi non conosceva bene gli altri però abbiamo dato un’occhiata alle nostre rispettive collezioni di dischi: noi quattro avevamo praticamente gli stessi». Quando gli amici di George Harrison si ritrovarono a commemorarlo alla Royal Albert Hall di Londra, nel 2002 un anno dopo la sua morte, si misero a suonare i pezzi dei Beatles, identici ma privi di vita. Arrivò Ringo Starr, si sedette alla batteria e, zac!, i Beatles erano quella cosa lì, con rispetto parlando. Mai sottovalutare questo batterista scarsino tecnicamente eppure giusto, perfetto. Non solo per dare il tempo, ma anche i titoli degli album. Dice McCartney: «Noi spesso potevamo fare riferimento su Ringo per i titoli perché lui aveva questa facilità di cogliere nei suoi discorsi gli aspetti sbagliati, le piccole incongruenze e, nel farlo, il risultato alla fine rendeva meglio il concetto che voleva esprimere. Un giorno uno gli disse: ”Sembri un po’ stanco oggi”. E lui rispose: ”Sì, ho avuto la notte di un giorno pesante. Colse il significato giusto di quello che volevamo dire e quello era il titolo del nostro album». Si parla, è evidente, di Hard day’s night, anno 1964. Ringo dice: «Anche se pensavamo ”evviva, ce l’abbiamo fatta, abbiamo conquistato tutte queste nazioni e venduto un sacco di dischi e ci amano tutti, potrebbe finire domani oppure andare avanti per sempre (...). Eravamo tutti nei nostri vent’anni e stavamo facendo i conti con il successo».
Passa il tempo, velocissimo per loro: è il momento di Help!