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 2009  settembre 09 Mercoledì calendario

Lubna liberata: «Ma io voglio il carcere» -  durata appena un giorno la prigionia della giornalista sudanese condannata lunedì a Khartum per aver osato indossare i pantaloni

Lubna liberata: «Ma io voglio il carcere» -  durata appena un giorno la prigionia della giornalista sudanese condannata lunedì a Khartum per aver osato indossare i pantaloni. A tentare di sollevare il regime di Omar al-Bashir dall´imbarazzo in cui versa da due mesi a causa della campagna dell´indomita Lubna Ahmed Hussein, è intervenuto ieri il Sindacato dei giornalisti sudanesi - notoriamente prono al governo - versando i 140 euro di multa «a nome suo». Ufficialmente a nome di Lubna che però, tra pagare e scontare un mese in prigione, lunedì non aveva avuto dubbi: aveva scelto il carcere pur di continuare a denunciare i misfatti commessi in Sudan in nome dell´articolo 152 del Codice penale sudanese che punisce «chiunque indossi un capo indecente o contrario alla morale pubblica». « libera sì, ma furiosa», dicono a Repubblica i suoi ex-colleghi raggiunti telefonicamente a Khartum. «Ha già deciso la prossima mossa: domani (oggi per chi legge, ndr) restituirà i soldi versati dal Sindacato contro la sua volontà e chiederà di essere riportata in prigione. In ogni caso presenterà ricorso, anche dinanzi alla Corte costituzionale se necessario».  dubbio, ammettono i suoi stessi amici, che oggi Lubna torni in carcere. Da quando la sua battaglia ha attirato sul regime sudanese i riflettori di tutto il mondo, i giudici di Khartum le hanno tentate tutte pur di allontanare l´attenzione dei media: prima hanno invocato l´immunità di cui la giornalista godeva in quanto dipendente della missione dell´Onu in Sudan, poi l´hanno condannata al pagamento di una multa risparmiandole le 40 frustate pur previste dal contestato articolo 152. Lubna però è stata ogni volta in grado di rintuzzare le manovre di difesa del regime, presentando le sue dimissioni all´Unmis e rinunciando così all´immunità la prima volta e preferendo infine il carcere alla multa. Quel che voleva non era sfuggire alla pena, ma che venisse abolita «l´incostituzionale» norma del codice penale con cui nel 1991 - a due anni dal golpe battezzato "Inqaz", "Salvezza" - l´attuale presidente Al Bashir introdusse nel Nord Sudan la legge islamica, la sharia. «Io sono musulmana, ma non credo spetti a un tribunale giudicare come io mi relazioni con l´Islam», ribadiva la stessa Hussein a Repubblica alla vigilia della condanna. «E poi voglio che mi mostrino il verso del Corano dove il nostro Profeta dice che indossare un paio di pantaloni è immorale. Parla di abbigliamento appropriato ma non di pantaloni!». Ieri il pagamento della multa al posto suo da parte del sindacato: ultimo stratagemma di un regime che rivela così tutto il suo imbarazzo nel vedersi smascherare dinanzi agli occhi dell´opinione pubblica mondiale, non dal mandato d´arresto internazionale per crimini di guerra e contro l´umanità che pende da mesi sul presidente Omar el-Bashir, né dal conflitto nella regione meridionale del Darfur o dall´instabilità nel Sud Sudan che rischia di minare le elezioni in programma il prossimo anno, bensì da un paio di pantaloni. Lubna continua a esibirli dal giorno del suo arresto, il 3 luglio, perché tutto il mondo li guardi e pensi che a essere indecente non sia quell´indumento, ma un regime che fa leva sulla religione per fare pressione sulla popolazione. «Se nella capitale ogni giorno vengono arrestate e condannate donne solo per il loro modo di vestire - chiede - cosa succede in Darfur?».