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 2009  settembre 09 Mercoledì calendario

HOSNI, IL MINISTRO-CENSORE CHE VIETAVA LOLITA E KUNDERA


L’ uomo che con ogni probabilità guiderà per i prossimi 10 anni l’Unesco, Farouk Hosni, ha chiesto scusa per aver detto nel maggio del 2008, nella sede del Parlamento egiziano, di voler «bruciare» personalmente i libri israeliani nelle librerie del Cairo.

Arriva all’Unesco l’uomo che ha bandito gli scrittori israeliani

Ma non c’è mai stato bisogno del ro­go vero e proprio. I libri israeliani e «sionisti», in tutti gli anni in cui Ho­sni è stato ministro della Cultura, so­no stati messi al bando, censurati, can­cellati anche senza il bagliore delle fiamme. Gli scrittori israeliani, regnan­te Hosni, non hanno mai potuto met­tere piede alla grande Fiera del libro del Cairo. Le fanfare dell’accoglienza hanno suonato piuttosto per Roger Garaudy, il negazionista francese se­condo il quale «gli ebrei hanno inven­tato l’Olocausto per il loro tornaconto politico ed economico» e che Hosni ha personalmente invitato nel 1998 con grande enfasi in Egitto dopo che la Francia aveva condannato le sue te­si antisemite.

Il governo italiano è convinto che le scuse di Hosni siano sufficienti. E che il suo curriculum culturale e istituzio­nale dimostri la piena idoneità del can­didato egiziano a dirigere un impor­tante organismo internazionale che per conto delle Nazioni Unite dovrà conservare e tutelare il grande patri­monio culturale dell’umanità, nonché promuovere i valori della tolleranza e del dialogo. Forse è vero che la sma­nia censoria di Hosni non sia specifica­mente diretta contro gli ebrei e gli isra­eliani. Sotto il suo dispotico regno cul­turale la mannaia della censura ha in­fatti colpito massicciamente e indiscri­minatamente, come ha documentato Foreign Policy , tutti e non un clan di burattini manovrati dal «sionismo».

Il divieto si è abbattuto per esempio su Lolita di Nabokov, su L’insostenibi­le leggerezza dell’essere di Milan Kun­dera, sul Codice da Vinci di Dan Brown (questo sì per non meglio pre­cisate implicazioni «sioniste»), sul Saggio su Maometto di Maxime Ro­dinson, sulle poesie medievali dell’ara­bo Abu Nuwas («troppo sensuali», Ho­sni nel gennaio del 2001), perfino sul premio Nobel Naguib Mahfuz, di cui Hosni ha chiesto l’espulsione dal­l’Unione degli scrittori egiziani perché «colpevole», ricorda Giulio Meotti sul Foglio , di aver visto tradotte alcune sue opere in Israele e per questo bolla­to come un «apostata» dai fanatici fon­damentalisti. Perché è vero che la cen­sura di Hosni, probabile prossimo tu­tore del patrimonio culturale universa­le, si esercita erga omnes, ma quando coinvolge gli ebrei e Israele, si esercita con più intensa passione.

Hosni ha vietato la circolazione in Egitto di Zorba il greco , ma le forbici della censura hanno colpito soprattut­to Schindler’s List di Spielberg («trop­pe uccisioni» fu il suo secco giudizio, riportato ancora una volta da Meotti) e tutti, tutti i film israeliani giacché, parole di Hosni, proiettarli «equivar­rebbe ad accettare la normalizzazione dei rapporti con Israele, cui noi ci op­poniamo fermamente».

Perché Hosni, malgrado l’opinione dei suoi sponsor che lo vorrebbero al vertice dell’Unesco, si è sempre procla­mato irriducibile nemico della «nor­malizzazione » proprio in un Paese, co­me l’Egitto, che ha invece «normalizza­to » dopo Oslo i suoi rapporti con Israe­le, pagando un prezzo altissimo, a co­minciare dall’assassinio di Sadat che aveva siglato la pace di Camp David. Ma Hosni, come ha ripetutamente do­cumentato l’Anti-Defamation League, ha sempre ritenuto che «l’odio per Israele è nel nostro latte materno».

Nel 2001, in un’intervista a

al Kasat , ha ribadito la sua to­tale ostilità per gli israeliani: «Rubano tutto, il patrimonio musicale, il cinema e anche i vestiti, per questo vanno ricam­biati con lo stesso livello di odio».

Odio, odio e ancora odio. Una volta Hosni ha accusato i media internazionali di essere nelle ma­ni «degli ebrei»: non risulta che abbia mai chiesto scusa. Mentre censurava libri, film, opere teatra­li, poesie medievali, concerti (an­che la cancellazione di un concerto di Daniel Barenboim è all’attivo del ministro della Cultura egiziano) ha fattivamente promosso la traduzio­ne in arabo dei Protocolli dei savi an­ziani di Sion , il celeberrimo falso che ha nutrito senza requie le fantasie pa­ranoiche dell’antisemitismo sotto ogni latitudine. E che i Protocolli rap­presentino un testo chiave dell’imma­ginario psicologico e culturale del pro­babile prossimo responsabile dell’Une­sco lo dimostra l’entusiasmo proseliti­stico con cui Hosni ha promosso la messa in onda per la televisione egizia­na Dream tv del serial Cavaliere senza cavallo , la cui trama è ostentatamente ricalcata proprio sullo schema narrati­vo dei Protocolli.

Del resto, nel 1988 è stato proprio Hosni a lanciare, scrive Meotti, l’opera teatrale Oh Gerusalemme dove si «in­citava all’uccisione di ebrei e alla libe­razione della città santa».

«Quando i Protocolli dei Savi di Sion furono scoperti cento anni fa, l’establishment sionista internaziona­le cercò di negare il complotto» è sem­pre Hosni a parlare. Un’ossessione. Una fissazione non mitigata sinora da nessuna scusa, sebbene tardiva. Per questo, per il candidato al vertice del­l’Unesco, «la cultura israeliana è disu­mana, aggressiva, razzista e arrogan­te, basata sul furto dei diritti altrui».

Per un uomo che si accinge, con il consenso di molti governi occidentali tra cui quello italiano, ad occuparsi della difesa della cultura e della tolle­ranza, queste dichiarazioni suonano un po’ paradossali. E nemmeno atte­nuate da qualche imbarazzata marcia indietro. Ma l’Unesco, per i prossimi dieci anni, sarà con ogni probabilità rappresentata da lui.