Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 09/09/09, 9 settembre 2009
Dal comunismo al consumismo. La Casta che domina Mosca - 

«Mettiamoci d’accordo
Dal comunismo al consumismo. La Casta che domina Mosca - 

«Mettiamoci d’accordo. Io vi porto Putin ma voi dovete fare un coro: ”Vla-di-mir!! Vla-di -mir!! Vla-di-mir!!” Se mi fate questo coro io poi vi porto una ragazza napoletana di ventun anni che canta benissimo e poi Apicella e gli facciamo cantare una decina di canzoni che ho scritto io». In pratica, ironizzavano quei discoli di Striscia la notizia mandando in onda il filmato in cui Silvio Berlusconi col berrettino incitava una piccola folla di turisti a Porto Rotondo, «un nuovo contratto con gli italiani». Quel delizioso filmino amatoriale la dice lunga sui rapporti tra il Cavaliere e l’uomo forte di Mosca. Non c’è stata occasione, in questi anni, in cui il leader della destra italiana non abbia preso posizione a favore di quello che chiama «il mio amico Vladimir». Ad esempio nell’aprile 2008, per spalleggiare l’ospite russo infastidito da una domanda sulla vita privata (« vero che vuole divorziare?») finse di sparare una raffica di mitra sulla giovane inviata moscovita colpevole di lesa maestà. Inviata che, mentre Putin faceva un enigmatico sorrisetto, scoppiò in lacrime. Lacrime comprensibili, se è vero che negli ultimi anni i giornalisti scomodi assassinati in Russia sono oltre centoventi. 

Eppure non è solo per capire il rapporto privilegiato tra il leader italiano e quello russo che vale la pena di conoscere meglio la Russia, la sua classe politica, le sue nuove oligarchie economiche. La Russia di oggi, infatti, con tutte le sue forzature estreme (ricchi troppo ricchi, poveri troppo poveri, potenti troppo potenti...) è uno straordinario osservatorio per capire le miracolose virtù e le devastanti infezioni del capitalismo selvaggio e del libero mercato. Dove la scelta di uscire a tappe forzate da settant’anni di comunismo lasciando spazio alla legge del più forte ha fatto nascere una società che è ancora in via di assestamento e merita di essere giudicata fra qualche decennio su tempi più lunghi, ma certo appare oggi, in certe cose, orrenda. Insomma: la ”nuova” Russia somiglia in modo impressionante alla caricatura deforme, oscena e violenta del mondo occidentale.

 Per carità, alla larga dai rimpianti per il mondo che fu. Era un mondo in cui, secondo gli studi di Mikhail Smirnov, nel periodo del suo massimo rigoglio «l’arcipelago Gulag raggiunse il numero di 476 lager, con una popolazione che nel 1950 era di circa tre milioni di reclusi». Dove lo scrittore Ilja Ehrenburg confidava: «La paura non l’ho provata sui vari fronti, non in Spagna sotto i bombardamenti, ma in tempo di pace, nell’attesa di una scampanellata o di un colpo alla porta».

 Gli archivi sono pieni di giornali che ricordano un mondo impossibile da guardare con indulgenza. Negozi dalle vetrine malinconicamente disadorne. Code interminabili per acquistare prodotti di prima necessità. Certo, l’orgoglio sovietico e la sfida agli Stati Uniti permettevano di stupire l’Occidente mandando in orbita nello spazio la cagnetta Laika, ma l’Urss descritta da Alberto Cavallari sul «Corriere» nel novembre 1964 era un Paese marcio: «Le relazioni del Plenum e di Krusciov dicono esplicitamente quanto segue: la pianificazione è ’un nido di resistenze burocratiche e di conflitti tra uffici’; è causa di un ’eccessivo decentramento e di inefficace accentramento’; essa ’non sa risolvere il grave problema dello spreco e della dispersione degli sforzi’; essa è lenta ’nell’adeguarsi al progresso tecnologico’; essa ha ’il più profondo disinteresse per la conclusione dei piani’ al punto che ’esistono oggi nell’Urss 27 miliardi di rubli di costruzioni non finite’; essa non risolve ’i problemi della produttività scadente’, del cattivo sistema dei premi ai lavoratori e delle ’priorità sbagliate’; dell’’inefficiente impiego di risorse’, degli ’sprechi e norme’, della ’altissima percentuale di avarie’. E l’elenco potrebbe continuare. Ma fermiamoci qui. Si tratta del più bel monumento dedicato alle pianificazioni comuniste, cosiddette rigide, che molti vorrebbero imitare».

 Non si può capire la Russia di oggi, con il suo tasso di corruzione altissimo sopravvissuto se non addirittura cresciuto a dismisura, se non si ricorda la Russia di ieri. Non si può capire l’esplosione di consumismo e pacchianeria dei nuovi ricchi se non si rilegge quanto scriveva nel maggio 1960 Luigi Barzini jr. sul «Gosudarstvennyj Universalnyj Magazin »: «Il Gum è il paradiso che sognano le casalinghe dal Baltico al Pacifico. Non c’è viaggio a Mosca che non includa la visita alle salme di Lenin e Stalin e una lunga sosta nel magazzino di fronte. Il totale dei visitatori si aggira sui 300.000 al giorno. Si fanno 200.000 vendite quotidiane per circa 10 milioni di rubli. Vi si vendono, ad esempio, 1.500.000 dischi microsolco al mese. I dischi, come i libri e altri oggetti culturali, hanno un prezzo politico molto basso. Tutto il resto ha prezzi arbitrari, folli».

 Ecco, il libro di Fabrizio Dragosei aiuta a capire cosa è successo non solo al Gum, oggi trasformato in una raffinata, luccicante e costosissima «via Condotti » moscovita affollata di danarosi spendaccioni. Aiuta a ricostruire come ha fatto un Paese a cambiare in modo così tumultuoso e radicale da esserne stravolto. A conoscere dal di dentro i segreti della «rimonta» della Russia che anno dopo anno si sta riprendendo nel mondo quel ruolo di grande potenza che dopo il crollo del comunismo e l’era sgangherata di Eltsin sembrava perduto. A scoprire le immense ricchezze accumulate in pochi anni da ex burocrati comunisti come «Vagit Alekperov, ex viceministro del petrolio e poi padrone della Lukoil, una delle maggiori compagnie russe, con un patrimonio personale di 12,2 miliardi di dollari». A sorridere e inorridire della volgarità di certi nababbi come quel padrone di una media compagnia petrolifera che ha festeggiato i suoi quarant’anni affittando il casinò di un’isola del Mediterraneo non lontano dall’Italia e facendosi lì costruire una copia esatta del Moulin Rouge dove ospitare il corpo di ballo delle Folies Bergère reclutato al gran completo e portato giù con un jet privato per una festa con menù da 450 euro a invitato e una fontana di ghiaccio che sprizzava vodka per un conto finale di sei milioni di dollari. A riconoscere nei lussi spropositati che si concede la nuova nomenklatura politica addirittura l’esasperazione dei lussi che si prende la «casta» dei politici nostrani. Basti ricordare il jet presidenziale del Cremlino descritto dal giornale online «Kommersant»: sala riunioni da dieci posti, grande bagno con doccia, lavandino di marmo e rubinetteria dorata. Sala relax. Arredamento in radica. Camera da letto. Tavolini damascati. Orologi da parete in oro zecchino. Ma soprattutto è un libro che ci aiuta a comprendere perché Vladimir Putin, a dispetto di una opposizione interna che tenta disperatamente di denunciare alcune storture inaccettabili e a dispetto dello stupore scandalizzato di quanti in Occidente hanno (come noi) un’idea molto diversa della democrazia, della libertà di stampa, del decoro del potere, goda oggi di un consenso popolare tale da non avere davvero bisogno, in patria, di un anfitrione che gli organizzi la claque.