Aldo Grasso, Corriere della Sera, 09/09/09, 9 settembre 2009
Addio a Mike, il re della tv - 
Mike Bongiorno si riteneva immortale, fanciullescamente immortale
Addio a Mike, il re della tv - 
Mike Bongiorno si riteneva immortale, fanciullescamente immortale. Come se la sua icona avesse da tempo regolato i conti con la fragilità del corpo. Continuava a praticare gli sport, a sfidare l’età («dalle ultime analisi mediche, amava ripetere, risulta che ho vent’anni di meno»), a cercare nuove sfide. Ancora ieri mattina appariva in uno spot con Fiorello per lanciare il suo nuovo programma «RiSkytutto », la riedizione per la tv satellitare del suo più celebre quiz. L’immortalità l’ha comunque sfiorata: è stato il primo presentatore della Rai, anno 1954; è stato il primo presentatore di Canale 5, anno 1980 (che allora si chiamava ancora Telemilano); è stata la star starter di SkyUno, anno 2009. Nessun presentatore al mondo ha mai avuto un simile privilegio: segnare tre epoche, tre modi diversi di fare e intendere la tv. Mike ha ottenuto tutto dalla vita e dalla tv, era un uomo felice con qualche ferita (l’ultima, il disamore da parte di Mediaset): basta ricordare l’entusiasmo con cui ogni giorno partecipava alle ospitate tv, ai programmi di Fiorello (che gli ha regalato non una seconda ma un’eterna giovinezza), agli spot. Aveva un solo cruccio: non la famosa Fenomenologia scritta da Umberto Eco ma la mancata nomina a senatore a vita. Ci teneva, eccome, e non ne faceva mistero. A suo modo, Mike è stato veramente un «padre della patria». A differenza di alcuni suoi colleghi, Mike ha interpretato il mestiere con molto scrupolo, al limite della meticolosità; nel fare e nel raccontare la tv, ha sempre scelto il punto di vista del «semplice». Per questo, fin dagli inizi della sua carriera, ha continuato a produrre – un po’ per carattere, un po’ per mestiere – gaffe, bizze, goffaggini, battute che hanno garantito un richiamo popolare non meno forte di quello esercitato dai giochi proposti. Anche se la celeberrima battuta rivolta a una concorrente («Ahi, ahi signora Longari, lei mi è caduta sull’uccello!»), non è mai stata pronunciata. Attribuita a lui, però, è diventata più vera del vero, una leggenda metropolitana. Per il suo coraggio della semplicità, Mike è sempre stato facile preda degli entomologi dell’ovvio. Ma dire che era mediocre, ignorante, succube degli esperti, prodigioso gaffeur privo di umorismo era anche un modo cifrato di avvertire i suoi fans che il loro idolo era lo specchio di una qualità antica: l’aurea medietà (la caratteristica più ragguardevole dei media, in medio stat Mike), quel buonsenso che contribuisce a rendere più saggi gli uomini. Non è facile esercitare la propria grandezza nelle cose ritenute di poco conto. Tentare una fenomenologia di Mike è stato un tópos del pezzo di costume e della ricerca sociologica sulle comunicazioni di massa; ogni occasione era propizia. Ci hanno provato in molti, persino in situazioni insospettabili; da Marcello Marchesi a Nicola Chiaromonte, da Achille Campanile a Orio Vergani, da Camilla Cederna a Luciano Bianciardi, da Umberto Eco a Beniamino Placido. Appena la si afferrava, la favola Bongiorno si espandeva in un ventaglio dai molti spicchi. In ciascuna storia divergente si riflettevano le altre e tutte ci sfioravano come una ragnatela di ombre. Gratificato delle attenzioni più insigni, era né più né meno uno di quei tali di cui, dannatamente, «si è già detto tutto». Nel suo perfetto maquillage, esaltato da un trapianto tricologico, appariva ormai circonfuso di luce propria, come una stella fissa. I concorrenti che partecipavano ai suoi quiz gli recavano offerte votive. La sua frase di saluto, «Allegria!», era accolta come una benedizione pontificale. Non parlava mai male dei colleghi, come se vivesse in un mondo pacificato le cui uniche interruzioni ammesse erano solo i «consigli dalla regia». Dagli uomini di cultura (o da quelli che si credevano tali), Mike veniva generalmente considerato un evento aurorale su cui fondare una mitologia negativa: le sue apparizioni televisive erano come la fodera invisibile del ludibrio della cultura, della mancanza di curiosità, dell’immobilismo. Invece lui era molto rispettoso dei ruoli, dell’autorità, dei «professori»: ai tempi di «Lascia o raddoppia?» considerava il notaio Carlo Marchetti, cui si rivolgeva per ogni dubbio, una sorta di divinità terrena, il custode della verità assoluta. Ma la cosa più sorprendente di Mike è stata la sua vita, al di fuori del piccolo schermo. Una vita intensa quella di Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, senza la «u», come ci teneva a precisare. L’immagine che negli anni ci siamo fatti di lui era quella di un pignolo (così lo vedeva anche la pubblicità, ai primordi), di un uomo comune, di un maniaco del dettaglio insignificante. E invece la storia della sua vita stupisce per intensità, colpi di scena, ricchezza di aneddoti: l’infanzia newyorkese, la tata di colore Lucy, le prime esperienze di lavoro a Torino, la Resistenza, San Vittore, «La voce dell’America », Vittorio Veltroni, «Lascia o raddoppia?», le sue numerose vallette, la storia d’amore con Daniela. Pignolo era pignolo, ma anche candido e allegro: un «Forrest Gump» giustamente baciato più volte dalla ruota della fortuna. Ricco, straricco, Mike aveva paura di tornare povero, di dover rinunciare a una vita agiata, di restare solo. Per questo pareva felice come un bambino quando i concorrenti gli portavano dei Bongiorno ha recitato in diversi film. Il suo debutto nel ”55 in «Ragazze d’oggi» di Zampa doni, quando lo sponsor gli riempieva la casa di vettovaglie. Una volta mi ha invitato a pranzo nella sua villa sul lago Maggiore: mi sembrava di essere entrato in una favola, ogni portata era il bonus di una televendita. Mike era un candido. Personalmente ritengo fosse anche un poeta dadaista, forse l’ultimo. E non ha nessuna importanza che ne avesse coscienza o meno: lo era, in maniera consustanziale. Mike era dada perché non ha mai tentato, facendola, di prendere le distanze dalla tv, di distruggerla con la pretesa di svelarne i meccanismi occulti. No, lui ha operato sull’idea che noi abbiamo della televisione. Ha ridotto le sue frontiere rigide, ha abbassato le sue altezze immaginarie, le ha sempre assegnato un posto subordinato rispetto alle esigenze di chi la guarda. Solo uno con una vita avventurosa poteva costruirsi una seconda lunga vita televisiva: semplice nella sua assoluta complessità.