Alessandro Calvi, il Riformista 9/9/2009, 9 settembre 2009
LA CONSULTA DEL LODO TRA CENE E VECCHI AMICI
«Il rispetto reciproco è presupposto necessario di una democrazia». Così parlava Francesco Amirante subito dopo la sua elezione a presidente della Corte Costituzionale. Si riferiva ai rapporti tra le istituzioni. E non era una notazione da poco, considerato che era stato presentato dalla stampa come il presidente della Corte che avrebbe dovuto giudicare della costituzionalità del Lodo Alfano. Ebbene, quel momento è quasi arrivato. Preceduto, come dimostrano le vicende di questi giorni, da un incessante lavorìo della politica.
Per questo, quelle pronunciate da Amirante sono parole da tenere sempre a mente, da ripetere ogni volta che si riaccendono le polemiche sulle decisioni che la Consulta è chiamata a prendere. Eppure, non tutti evidentemente le ritengono esaustive di un rapporto, quello tra istituzioni, che negli ultimi anni si è fatto sempre più delicato. Sembra suggerirlo anche il cannoneggiamento al quale è stato sottoposto Gianfranco Fini in questi giorni. Fuoco amico, fino a prova contraria, ma che lascia trasparire un timore che serpeggia dalle parti di Palazzo Grazioli: se la Corte Costituzionale si troverà a giudicare papi, per Silvio Berlusconi potrebbe essere l’inizio della fine. Se invece giudicherà il premier, ebbene sarà tutt’altra cosa. Il contesto, dunque, il clima politico che ci sarà nel paese, potrebbe avere un suo peso nel momento nel quale i 15 giudici costituzionali si riuniranno per decidere della legittimità costituzionale del Lodo Alfano.
Ma, oltre al contesto, su quella decisione potrebbe pesare anche la storia, e l’estrazione culturale dei singoli giudici. La questione, d’altra parte, non è nuova. Fu l’Espresso nel giugno scorso a sbatterla sul tappeto, raccontando di una cena - «Un incontro carbonaro», lo definì il settimanale - tra Silvio Berlusconi, Gianni Letta, Angelino Alfano, Niccolò Ghedini, i presidenti delle commissioni Affari Costituzionali della Camera e del Senato, Donato Bruno e Carlo Vizzini, e due giudici della Corte: Paolo Maria Napolitano e Luigi Mazzella, che era anche il padrone di casa. Secondo la ricostruzione dell’Espresso, a quella cena si parlò di giustizia ma, scrisse il settimanale, «sullo sfondo c’è anche l’immunità di Berlusconi». Il lodo Alfano, insomma.
Naturalmente, scoppiò un putiferio. E la cosa non può stupire. Mazzella rivendicò con forza il proprio diritto di invitare a cena a casa propria liberamente un «vecchio amico» - come lo stesso giudice definì Berlusconi - senza dover dare spiegazioni. «In casa mia invito chi voglio e parlo di quello che voglio», aggiunse. Ma, certo, il fatto che in quella cena si fossero incontrati, tra gli altri, il premier, il suo avvocato e due dei giudici che in seguito avrebbero dovuto giudicarlo, fece dire a molti che l’imparzialità della Corte poteva essere compromessa. Se la Corte giudica sulle leggi in assoluta indipendenza e autonomia - e su questo non sarebbe lecito dubitare mai - proprio quelle polemiche dimostrarono però che qualche dubbio in Parlamento aveva trovato terreno fertile. Su entrambe le sponde, per di più.
Il ragionamento è semplice. Di alcuni dei giudici che formano la Corte non è difficile individuare l’area di appartenenza. E questo è ovvio soprattutto per quelli espressi dal Parlamento. Il vicepresidente della Corte Ugo De Siervo, ad esempio, e Gaetano Silvestri, sono di estrazione di centrosinistra così come Luigi Mazzella, Paolo Maria Napolitano e Giuseppe Frigo provengono dal fronte opposto. Anche tra coloro che sono stati nominati dal Presidente della Repubblica si può, entro certi limiti, fare lo stesso gioco. Franco Gallo, nominato da Carlo Azeglio Ciampi, è di area centrosinistra. Sabino Cassese, lo stesso. Ci sono poi i "centristi". Si tratta di Paolo Grassi e Maria Rita Saulle, moderati entrambi ed entrambi di nomina presidenziale. La Saulle, inoltre, è molto vicina al cardinale Ruini. Infine, ci sono gli altri, i giudici espressi dalle magistrature come Alessandro Criscuolo, Paolo Maddalena, Alfio Finocchiaro e Alfonso Quaranta. Proprio il voto di questi, si fa notare in Transatlantico, potrebbe orientare l’ago della bilancia, in una situazione in cui i giudici che potrebbero esprimere dubbi sulla costituzionalità del lodo sembrano essere, in partenza, maggioranza.
Ma è un gioco o poco più perché, se la storia dei giudici che tra poco meno di un mese si riuniranno per promuovere o bocciare il Lodo Alfano è importante, non consente a nessuno di fare previsioni certe. Ed è una circostanza, questa, che aggiunge pepe a un thriller che promette ogni giorno una sorpresa, da qui al prossimo 6 ottobre. proprio quello - il 6 ottobre - il giorno che tutti in Parlamento e a Palazzo Chigi hanno segnato sul calendario. Quel giorno, i giudici si riuniranno in udienza pubblica per decidere su tre questioni di legittimità costituzionale sollevate dai tribunali di Roma e Milano nell’ambito delle vicende Mills, dei diritti Mediaset e del caso Saccà. Tutte hanno un comune denominatore: Silvio Berlusconi. E, naturalmente, il Lodo Alfano. Questione delicata, delicatissima, dalla quale potrebbero dipendere i destini dello stesso premier.