Teodoro Chiarelli, La stampa 8/9/2009, 8 settembre 2009
GLI USA IN CRISI MA LA BARILLA CRESCERA’ ANCORA
Di un paio di cose è sicuro: la sua azienza crescerà, crescerà ancora, ma senza nuove acquisizioni e, soprattutto, senza più diversificazioni e avventure finanziarie, solo core business. Che per Barilla, vuol dire pasta, biscotti, pane, sughi. Una realtà da 4,5 miliardi di euro di fatturato, tra i primi gruppi alimentari italiani, leader nel mercato della pasta nel mondo, dei sughi pronti in Europa continentale, dei prodotti da forno in Italia e dei pani croccanti nei Paesi scandinavi. Spiega Guido Barilla, presidente del gruppo che porta il suo nome, controllato insieme ai fratelli Luca, Paolo ed Emanuela: «Certo, svilupperemo nuovi prodotti, ma solo ed esclusivamente nel settore alimentare. Sono il frutto della nostra ricerca, alla quale destiniamo l’1,5% del fatturato».
Quali sono le prospettive di Barilla alla luce di un 2009 tremendo?
«Il nostro settore è abbastanza al riparo da fluttuazioni. Noi veniamo però da un 2008 che è stato estremamente turbolento, perché l’aumento delle materie prime avevano dato una scossa a tutti i nostri settori. Abbiamo dovuto aumentare i prezzi e non lo facevamo da 10 anni.
Ci sono state tante polemiche.
«Sì troppe. Fortunatamente la gente ha compreso le tematiche legate all’aumento delle materie prime e ha riconosciuto nel prodotto di qualità un’offerta stabile, sicura e affidabile per l’alimentazione della famiglia».
Quindi niente cali.
«Quest’anno avremo una sostanziale stabilità nei volumi. Quindi conferma dei dati dell’anno scorso. Anche a livello di fatturato»
Realizzerete gli stessi utili del 2008?
«Insisto nell’uso del termine stabilità. Forse avremo gli stessi utili dell’anno scorso, sicuramente non peggio. E poi sa, su certi argomenti è meglio avere prima il gatto nel sacco...».
Quindi?
«Per fare una fotografia direi che per Barilla gli Stati Uniti, dove siamo cresciuti del 10%, continuano la loro corsa, Europa e Italia sono stabili, Turchia, Spagna e Russia soffrono un po’».
Intanto siete incappati nella rete dell’Antitrust per un supposto cartello con altri produttori. Come è finita?
«Non è finita. L’Antitrust ha emesso la sua sentenza, noi abbiamo fatto ricorso al Tar con le nostre considerazioni e adesso valuteranno».
Fiducioso?
«Non abbiamo commesso nulla di quello che ci è stato imputato. Non abbiamo fatto controllo sui prezzi, non abbiamo organizzato nulla per gestire il prezzo con i nostri concorrenti. Perciò sono tranquillo e sereno con la mia coscienza».
Resta il fatto che la vicenda ha fatto rumore.
«Il chiasso intorno al settore della pasta è stato di gran lunga spropositato rispetto alla rilevanza degli eventi. E non posso fare a meno di osservare che in quel momento parlare tutti i giorni sui giornali della pasta toglieva spazio ad altre situazioni».
Voi puntate molto sugli Stati Uniti
«Molto. Sono un Paese strategico, dove abbiamo a lungo esportato. Da dieci anni abbiamo due impianti, abbiamo investito tantissimo e in modo coraggioso. Il ritorno sull’investimento non era certo e invece siamo diventati leader di mercato. Il consumatore americano ha riconosciuto al marchio un significativo successo. Il cammino difficile inizia adesso. una grande sfida».
Gli Stati Uniti sono incappati nella crisi più difficile dopo quella del ”29. Come vede lei la situazione dal suo particolare posto d’osservazione?
«La situazione è complessa, e parlo dei nostri mercati. I settori e le categorie meno cari all’interno della distribuzione hanno tenuto. La pasta, dove abbiamo la leadership, ha addirittura aumentato i volumi. Nella grande distribuzione, ma anche nei ristoranti. La quota della pasta nei ristoranti è aumentata, perché evidentemente è uno dei piatti meno cari disponibili nei menù».
Gli Stati Uniti stanno passando un momento storico particolare...
«E non so chi è oggi in grado di poter dire se le misure che hanno intrapreso sono corrette e in grado di produrre un qualche risultato. Io non mi sento di dirlo. Sappiamo che la curva della disoccupazione sta crescendo molto e questo è preoccupante: siamo vicini al 10%. La mia personale preoccupazione è che dopo la prima onda di grande euforia sulle promesse fatte da Obama, come quella sulla sanità, gli americani possano perdere di colpo l’entusiasmo».
Come si esce da questa crisi?
«Non ho idea di dove andrà il sistema. Però guardo e ascolto. A Cernobbio il chief editor del Financial Times ha detto: ”Stiamo peggio di prima. Vi aspetto al 2015 per la prossima crisi che sarà tombale”. Terrificante. Ecco io vedo che sull’altare della crisi sono stati immolati alcuni capri espiatori come Lehman o Madoff. Però il sistema ricostruisce la forza precedente, il modello ripropone se stesso. C’è il rischio che le aberrazioni precedenti possano tornare? Chi può dirlo. Certamente gran parte della gente che c’era prima è ancora lì adesso. Ed è inimmaginabile che in quattro mesi il sistema finanziario americano possa essere cambiato. Serve un ricambio generazionale».
Barilla vuole crescere ancora negli Usa.
«Beh, ci piacerebbe».
Avete in mente acquisizioni?
«No. Pensiamo di andare avanti piano piano. Lo stesso in Italia e in Europa. Puntiamo alla crescita interna, a modelli innovativi, sfruttando la nostra capacità di sviluppare nuovi prodotti. Abbiamo lanciato delle verdure cotte in vaschetta pronte per essere scaldate o saltate in padella».
Scottati dall’esperienza tedesca con l’acquisto della Kamps?
«L’esperienza tedesca è stata molto complicata. Abbiamo imparato che bisogna rilevare solo aziende estremamente sinergiche. E non ne vediamo all’orizzonte»
Niente Borsa?
«Puntiamo sulle risorse interne: non ne abbiamo bisogno».
Alleanze?
«Neppure».
Non partecipate neanche ai salotti finanziari che contano, tipo Mediobanca
«Non ci interessano».
Però avete fatto affari con Fiorani e la Popolare di Lodi.
«Abbiamo comprato Kamps sull’onda emotiva della spinta di Fiorani. Adesso è facile dire: come mai eravate con un farabutto come Fiorani? C’eravamo noi, ma anche molti altri. Un farabutto come Fiorani stava sempre con il governatore della Banca d’Italia. E i fratelli Barilla hanno sempre creduto nelle istituzioni. Fiorani è venuto e mi ha detto: voglio starti vicino, faccio il partner con te in un’operazione industriale, in un paese europeo... Allora, è stato fatto un errore e questo errore lo ha fatto Guido Barilla, non un altro. L’ho fatto io e mi accollo tutte gli oneri dell’errore».
Insomma, si è fidato.
«Mi sono fidato come un pollo di persone delle quali non mi dovevo fidare, ma delle quali si fidavano in tanti e sulle quali c’erano delle garanzie. Poi Fiorani è andato in galera e con i nuovi amministratori abbiamo avuto una transazione molto sofferta. Ma della quale oggi siamo molto soddisfatti. Tanto che i rapporti con la banca oggi sono eccellenti».