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 2009  settembre 08 Martedì calendario

BOOM DI RICHIESTE IL TE’ DIVENTA PREZIOSO


Due grammi, soltanto due grammi: è il peso delle foglie che, insacchettate, fate scivolare nella teiera, questa domestica, accessibile «oasi nel deserto scuro dell’esistenza». Eppure quei due grammi di voluttà muovono infinite fatiche, passioni, interessi su e giù per il mondo. Andover è una cittadina a 150 chilometri da Londra. Conserva un truciolo delle glorie (e dei denari) dei tempi in cui veloci clipper a vele spiegate, con la bandiera di sua maestà, correvano i sette mari, le stive ricolme di una spezia che profumava delle grazie d’oriente.
Il tè è stato la prima mondializzazione, ecumenico edonistica; che l’ha fatta diventare la bevanda più diffusa dopo l’acqua. Ad Andover uno dei due giganti mondiali, la Twinings, affida a una quarantina di «teatasters», degustatori incontentabili, il controllo della qualità del prodotto che ha raccolto in Asia e in Africa. Il tè di questi giganti, la Twinings e la accanita rivale Lipton, è una combinazione di varietà diverse, necessarie perché il gusto sia sempre identico per ciascuna delle marche. Una volta che gli assaggiatori hanno trovato l’equilibrio giusto milioni di tonnellate di foglie vengono avviate agli stabilimenti, lavorate con delicatezza e messe nelle bustine. uno dei grandi affari della economia mondiale, 7580 tonnellate ogni anno con un volume di denaro di 240 milioni di euro.
Una volta le maggiori vendite all’asta si tenevano nel cuore della City, era lì che si dettavano i prezzi. Le hanno cancellate nel 1998, ormai i paesi produttori fanno da soli, il the non è più un impero ma una frenetica, bollente democrazia grande come il mondo. Dove si lotta per raccolti di tonnellate o per pochi chili delle varietà rare come l’oro, i the gialli e bianchi di origine cinese Ebbene da due anni questa economia profumata ha subito una svolta. C’era fino ad allora sovrapproduzione nei quattro grandi, India Cina Sri Lanka e Kenya, in un quarto di secolo il prezzo del the medio e di bassa qualità era calato del 35 per cento. Poi nel 2007 la prolungata eclisse è finita: colpa o merito della natura con la siccità in Kenya e il freddo in Cina che ha bruciato i germogli. E poi cinesi e indiani stanno diventando ricchi, non si accontentano più delle foglie di poco prezzo, vogliono, pretendono i tè preziosi che venivano esportati in Occidente. Così in Assam che fornisce più del 15% della produzione mondiale un the «medio» che nel 2007 era trattato a 6 dollari il chilo, l’anno scorso era già a 8, e quest’anno addirittura a 15. Nello Sri Lanka un tè nero di base, 2,50 dollari è arrivato a 5. Anche sul mercato di Mombasa dove arrivano i the raccolti nelle terre alte del Kenya sono tempi di letizia commerciale. Il tè non è come le altre materie prime, non conosce mercati a termine. I compratori preferiscono fare ogni anno il giro delle piantagioni e comprare senza intermediari.
Il galoppo dei prezzi sta cambiando la vita di milioni di piccoli produttori. Nella provincia cinese dello Zhejiang ad esempio ci sono più di un milione di mini piantagioni, meno di 0,2 ettari ciascuna in media. La loro sopravvivenza in tempi di prezzi bassi era legata alla benevolenza delle stagioni e spesso allo sfruttamento di manodopera composta di bambini. Impossibile comunque risparmiare per investire in nuove tecniche o far crescere la redditività. Ora i prezzi alti stimolano nuove ambizioni. E poi i due grandi clienti, pressati dal Verbo ecologista, hanno lanciato programmi di commercio solidale e di riduzione dell’uso dei pesticidi. Ad esempio il 50% del the Lipton ormai è certificato da una Ong specializzata nella agricoltura verde. Okakura Kakuzo nel suo «Libro del tè»: «Questa bevanda è una ascesi perché dimostra che lo stare bene si trova nella semplicità e non in una qualche costosa complessità». Milioni di contadini nel mondo sono lieti che il raffinato scrittore giapponese avesse torto.