Renaud Girard, La stampa 8/9/2009, 8 settembre 2009
L’AMERICA MI VORREBBE DOCILE COME UN PUPAZZO"
Gli americani mi vorrebbero più docile, più facile da manovrare. Ma le marionette degli stranieri in Afghanistan non hanno mai funzionato. Ci hanno provato gli inglesi, ci hanno provato i sovietici, con le marionette. E sappiamo come è finita». Il presidente afghano Hamid Karzai parla subito dopo la rottura del digiuno del Ramadan, al tramonto, nel palazzo presidenziale, una volta la residenza reale, il luogo più protetto al mondo, chilometri di mura di cemento, quattro check point, cani che annusano abiti, borse, due metal detector. Un presidente che si sente sotto assedio non solo per la minaccia dei taleban, ma anche per l’atteggiamento degli Stati Uniti, e della Gran Bretagna: montano le critiche sulla gestione del voto, sui brogli, sulla corruzione che coinvolgerebbe anche la sua famiglia e i suoi più stretti collaboratori. Ma il presidente si difende con orgoglio, punto su punto.
Il suo avversario Abdullah Abdullah parla di brogli di Stato, massicci, alle elezioni presidenziali. Che cosa risponde?
«Sono elezioni: ci sarà un vincitore e un perdente. Se fossi il perdente, anche io sarei amareggiato. Ma la verità è che gli afghani hanno votato esattamente come nel 2004. L’Afghanistan è un Paese tribale. Vota per blocchi, collettivamente. Ma quello che mi ha veramente deluso è l’atteggiamento dei media americani e britannici. Penso ai 22 membri della Commissione elettorale che sono morti, per queste elezioni. Penso ai poliziotti, ai soldati afghani e della Nato che sono morti per queste elezioni. Questi giornalisti stanno delegittimando il futuro governo afghano. Se questa manipolazione ha come obiettivo installare un governo di marionette, sappiano che non funzionerà. Le marionette non hanno mai funzionato in Afghanistan. Spero che gli americani non tentino la stessa cosa dei sovietici. Quanto ai brogli, ce ne sono stati nel 2004, ce ne sono stati ora e ce ne saranno nel futuro. E’ normale, in una democrazia nascente».
Lei è al governo da sette anni. Qual è il suo bilancio?
«Il mio governo ha ridato l’Afghanistan agli afghani. Sono tornati tutti. Mujaheddin, comunisti, religiosi e non religiosi, uomini, donne, ricchi, poveri. I rifugiati che erano in Pakistan, in Iran, sono tornati nei loro villaggi. E sono tornati i ricchi dall’Europa, a cercare di diventare ancora più ricchi. Abbiamo ricostruito uno Stato. Nel 2002 nelle casse del Tesoro c’erano 180 milioni di dollari. Ora sono 3,7 miliardi. Circolavano cinque monete diverse, ora tutti usano gli afghani, la nostra moneta, che ha un corso stabile. Il problema è la pace, che non è arrivata in tutto il territorio. Non abbiamo battuto il terrorismo. E’ una responsabilità che condividiamo con la comunità internazionale».
Siete disposti a un dialogo con i taleban moderati?
«E’ una delle cose che farò nei primi cento giorni del mio nuovo governo. Ho notato il cambiamento dell’atteggiamento del presidente americano Obama. Ma attenzione - e lo dico anche ai sauditi -, non ci sarà mai dialogo con i taleban che non rinunceranno ai loro legami con Al Qaeda o che rifiuteranno di riconoscere la Costituzione afghana».
Sarebbe disposto a dare un salvacondotto ai taleban che volessero negoziare a Kabul?
«Anche domani».
Molti afghani e osservatori occidentali dicono che la sua famiglia si è arricchita, che suo fratello Wali Ahmed, presidente del Consiglio regionale di Kandahar, è uno dei più grandi trafficanti d’oppio… Che cosa risponde?
«In questo stesso ufficio, poco prima delle elezioni del 2004, ho avuto una discussione burrascosa con gli ambasciatori di Stati Uniti e Gran Bretagna. Volevano che distruggessi i campi di papavero inondandoli di diserbanti con gli aerei. Ho risposto che ci sarebbe stata una sollevazione popolare di contadini, come durante l’invasione sovietica. Pochi giorni dopo sono cominciate le illazioni della stampa anglosassone su mio fratello. Ho chiesto invano prove, per iscritto, alle ambasciate, ai servizi segreti. Non mi hanno mai risposto».
Ma la Cia ha accusato il generale Fahim Khan, l’ex ministro della Difesa che lei ha scelto come futuro vicepresidente, di aver trasportato tonnellate di oppio con aerei militari…
«Non è un attacco contro Fahim. E’ un attacco contro di me. Prima che si candidasse gli americani erano sempre con lui a spassarsela, a giocare a buzkachi, a rilassarsi nella sua fattoria nel Panshir. Adesso lo tradiscono, come hanno fatto con il generale Dostum, dopo che l’avevano convinto a candidarsi nel 2004. Gli americani attaccano Karzai perché lo vorrebbero più docile. Ma sbagliano. E’ nel loro interesse avere un presidente afghano che sia rispettato dagli afghani, non un pupazzo».
Lei ha duramente condannato il bombardamento di un’autocisterna rubata dai taleban nella provincia di Kunduz. Perché?
«Ma come? Più di 90 morti per un camion, che era oltretutto impantanato nel letto di un fiume. Ma perché non hanno mandato soldati sul terreno, a recuperarlo? Persino il generale Stanley McChrystal (comandante delle forze Nato in Afghanistan) mi ha telefonato per scusarsi e dirmi che non aveva ordinato lui il raid».
Che pensa della strategia del generale McChrystal?
«Me l’ha esposta personalmente. Proteggere la popolazione civile, piuttosto che uccidere più talebani possibile. Concordo al cento per cento».
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