Mario Calabresi, La stampa 8/9/2009, 8 settembre 2009
L’EFFICACIA DELLE IMMAGINI
Durante la guerra in Kosovo il settimanale americano Time pubblicò in copertina la foto di uno studente kosovaro colpito in pieno volto da una pallottola serba che gli «cancellò» il naso e lo accecò da un occhio. Ne seguì un’aspra polemica sull’uso delle «immagini forti» da molti ritenute controproducenti per chi le pubblica e comunque capaci di creare un tale «choc da copertina» che invece di avvicinare la gente al problema finisce per allontanarla ferendone la sensibilità (!). A distanza di anni il problema si ripresenta con il caso del 21enne soldato Usa Joshua Bernard, partito per l’Afghanistan e morto in combattimento. Io, al contrario del Pentagono (e dei media in generale), sono per la pubblicazione delle foto raccapriccianti dei soldati americani (o di altre nazionalità) morenti in azioni di guerra, sono per l’«atroce verità» soprattutto se a morire sono dei civili e non dei «consapevoli» soldati votati alla morte. Perché accettiamo che la finzione cinematografica ci mostri le atrocità della guerra mentre «temiamo» la sua cruda realtà? Finché si continuerà a trattare le guerre soltanto con le parole e i freddi resoconti sul numero di morti e feriti non si riuscirà mai a trasmettere ai lettori la vera essenza di quel sistema (la guerra) ritenuto da Anthony Burgess (1984 & 1985) «il sistema più spiccio per trasmettere una cultura». E non va generalizzato il detto di Giovanni XXIII che sosteneva che «le madri e i padri detestano la guerra», perché se davvero la detestassero i genitori del caporale Joshua Bernard avrebbero fatto di tutto per impedire al loro figlio di andare a morire dilaniato da una mina in una lontana e polverosa terra. Anni fa l’Unione europea, decise di permettere la stampa di immagini di polmoni malati sulle scatole di sigarette per convincere i fumatori ad abbandonare un «vizio mortale». Furono realizzati degli studi che dimostrarono che le immagini, a differenza delle parole (che si limitano a fare riflettere), costituivano uno dei modi di agire in assoluto più efficaci. In Italia di immagini choc non se ne sono viste, ma si continua ad insistere con la poco efficace scritta «il fumo uccide».
LORIS NUCERA, AOSTA
Io non sono così sicuro che le immagini favoriscano la presa di coscienza, soprattutto in una società dell’immagine come quella in cui viviamo. La foto del soldato ha fatto scalpore perché è unica, perché non era mai accaduto dall’inizio della guerra in Afghanistan, ma se scatti come quello ci venissero proposti tutti i giorni forse finirebbero per scatenare reazioni di assuefazione, rassegnazione e cinismo. Penso che le immagini debbano essere sorprendenti per essere forti ed efficaci, anche ai polmoni malati ci si abitua se li si vede venti volte al giorno.