Sergio Romano, Corriere della sera 8/9/2009, 8 settembre 2009
CHIESA ROMANA E RUSSIA UN’ALTRA GUERRA FREDDA
A vent’anni di distanza dalla caduta del Muro di Berlino e dal crollo dell’Unione Sovietica, è corretto dire che senza il ruolo avuto da Papa Giovanni Paolo II, determinante in quel frangente, difficilmente gli eventi avrebbero preso quella piega?
Michele Toriaco
micheletoriaco@alice.it
Caro Toriaco,
No, non è corretto. So che il mio giudizio non piacerà a quanti hanno sostenuto, durante gli ultimi vent’anni, la tesi della fondamentale importanza avuta da Giovanni Paolo II nel crollo del sistema comunista, ma credo che questa tesi sia dettata dalla fede più che dalla ragione. L’Urss non fu battuta dalla Chiesa cattolica e dalla sua tenace resistenza contro la minaccia comunista. Fu sconfitta da se stessa, dalle riforme fallite di Krusciov, dalla lunga stagnazione di Breznev, dalle velleitarie riforme di Gorbaciov e dalla sua incapacità di adattarsi alle sfide della modernità. La Chiesa fece la sua battaglia soprattutto durante i pontificati di Pio XI e Pio XII, ma si preparò sin dal papato di Giovanni XXIII a una lunga convivenza e affidò ad Agostino Casaroli il compito di concludere gli accordi che l’avrebbero resa possibile e tollerabile.
Questo non significa che Giovanni Paolo II sia stato estraneo agli avvenimenti del biennio decisivo, dal crollo del muro nell’ottobre del 1989 al crollo dell’Urss nel dicembre 1991. Il papa influenzò il corso delle cose in due modi, di cui il primo fu positivo e il secondo, purtroppo, negativo. Certamente positiva fu la parte del papa polacco nelle vicende della sua patria. Con le sue ripetute visite in Polonia e il continuo sostegno, non soltanto morale, alla causa di Solidarnosc, Karol Wojtyla creò intorno al suo Paese una sorta di invisibile trincea che i sovietici non osarono attraversare. È questa la ragione per cui la Polonia, nel 1989, poté, prima degli altri satelliti, percorrere una strada politica e istituzionale che avrebbe comunque, indipendentemente da altri avvenimenti, garantito alla società civile maggiori margini di libertà.
Molto meno positiva, se non addirittura negativa, fu invece la politica del papato verso l’Ortodossia russa. Wojtyla credette che la sconfitta del comunismo avrebbe reso finalmente possibile la fine dello scisma, il ritorno all’unità e, naturalmente, il riconoscimento del primato del vescovo di Roma. Chiese a Gorbaciov, e ottenne, che i cattolici di rito greco dell’Ucraina occidentale (gli Uniati) rientrassero in possesso dei beni ecclesiastici perduti all’epoca di Stalin.
Chiese e ottenne che la Santa Sede fosse autorizzata a creare in Russia quattro grandi diocesi vescovili: un privilegio che gli zar le avevano fermamente negato. E affidò il compito della evangelizzazione a un nutrito gruppo di vescovi e sacerdoti polacchi. Non capì che quei preti polacchi sarebbero stati percepiti in Russia come le avanguardie di un progetto imperiale e che sarebbe scoppiata da quel momento, fra Mosca e Roma, una nuova guerra fredda. Dopo il crollo del muro di Berlino un altro muro ha diviso per molto tempo le due maggiori cristianità europee. L’uomo che ha maggiormente lavorato ad abbatterlo, in questi anni, è Benedetto XVI .