Simone Paliaga, Libero 8/9/2009, 8 settembre 2009
IL FASCISTA ERETICO E ANTI-USA CHE DIFENDEVA I CAPITALISTI
«Ogni scrittore è profeta - o almeno ogni scrittore che sia con forza morso dal presente - e, a causa della vanità, quasi ogni profeta è scrittore. Ho sbagliato molto e ho avuto spesso ragione. Se ho sbagliato solo sui dettagli e avuto ragione a grandi linee, allora il mio divertimento è stato serio». Sono tra le ultime parole pubbliche che Drieu La Rochelle lascia dietro di sé.
Poi un silenzio di qualche mese, in attesa che l’ultimo atto si compia con l’arrivo di de Gaulle a Parigi. Il 15 marzo del 1945 ripone sugli scaffali della sua libreria le Upanishad, apre il gas e ingerisce una copiosa dose di fenobarbital. Non vuole che anche su di lui si scateni la vendetta che ha già falciato altri collabos accusati di intelligenza con i tedeschi, come Georges Suarez, Robert Brasillach e Jean Luchaire, e costretto all’esilio Louis-Ferdinand Céline e Paul Morand.
Al fianco di Doriot
D’altronde la resa dei conti è inevitabile. La scelta di campo fatta, seppure credendo di salvare l’Europa, non lascia scampo. A fianco di Doriot nel Parti Populaire Français, il principale movimento fascista d’Oltralpe, prima e durante la guerra; e come direttore della prestigiosa rivista ”Nouvelle Revue Française” negli anni dell’occupazione tedesca, Drieu non fa nulla per nascondere le sue idee. Anzi a giochi fatti, con la vittoria dei sovietici a Stalingrado e con la débâcle di El Alamein, rinsalda le sue posizioni, per non dare l’impressione di sfuggire dinanzi alla sconfitta. Salvo poi scrivere, nella Lamentation normande del luglio del 1944, dopo lo sbarco degli Alleati in Francia, di soffrire triplamente, come normanno, come francese, come europeo» per la guerra che insanguina l’Europa.
Nell’Olimpo delle lettere
Ora in Francia esce una corposa raccolta dei suoi scritti d’impegno, Textes politiques. 1919-1945 (Krisis, pp. 424, euro 24). Non si tratta di un lavoro d’occasione. Piuttosto della scelta di offrire una visione a tutto tondo della vita dello scrittore che tra poco assurgerà all’empireo delle lettere francesi. Per il 2011 è prevista infatti la pubblicazione dei suoi romanzi più importanti nella collana di classici ”Pléiade” (simile ai nostri ”Meridiani”), che ne sancirà la fuoriuscita dal novero degli autori maledetti, restituendogli la patente di onorabilità. A curarlo sarà Julien Hervier, già artefice della prefazione di Textes politiques. La mole dei testi engagé è impressionante, oltre cinquecento. Che non stanno a margine della sua produzione letteraria. Non solo per la quantità, ma anche per l’importanza che Drieu stesso gli attribuisce.
L’amore per la lotta
In una lettera a Colette, sua moglie oltre che nota scrittrice, confesserà: «Credo che il mio amore per la lotta, che è soprattutto teorica, troverebbe il suo esito nella guerra di penna incarnata dal giornalismo politico». Così, accanto ai celebri saggi degli Anni Trenta come Mesure de France, Socialismo fascista, L’Europe contre les patries e una biografia di Jacques Doriot, sparsi in una miriade di riviste figurano gli articoli ora in parte confluiti in questo lavoro capitale. Tra essi ci sono anche dei réportage che portano alla luce un Drieu finora poco conosciuto. Particolarmente riusciti sono i servizi preparati per il settimanale ”Marianne”: alcuni ineccepibili, quelli dall’Europa dell’Est, dove fa valere la sua capacità affabulatrice per scovare, in anticipo sui tempi, le invidie reciproche che rischiano di travolgere gli Stati nati dallo smembramento dell’Impero asburgico, come l’Ungheria e la Cecoslovacchia, anziché coalizzarli contro i riottosi vicini, vedi Germania e Unione Sovietica.
Le conquiste del Duce
Gli altri réportage sono invece sintomatici delle sue passioni. Così quelli che lodano le conquiste modernizzatrici dell’Italia fascista. «Ci sono voluti dieci anni a Mussolini, spiega Drieu, per fare degli italiani dei soldati, dei poliziotti, dei funzionari, degli ingegneri, degli operai e dei contadini amanti della tecnica, laddove prima non erano che dei perdigiorno e dei facchini».
Al cuore delle fatiche dello scrittore politico sta però una sola questione: la lotta alla decadenza. «Dio dell’autunno, grande idea maestosa e inesorabile della decadenza, allontana i tuoi passi dalla mia terra natale, allontana i tuoi passi dalla mia Europa materna». Insopportabile per lui vedere scivolare il suo continente tra le ganasce di Washington e Mosca, di Roosvelt e Stalin. E alla luce di questa preoccupazione, vanno lette anche le sue opzioni politiche, soprattutto quando l’obiettivo di un’Europa unita e federale diventa impossibile. Allora Drieu sceglie, pensando che Hitler sia meno pericoloso degli altri e più vicino allo spirito europeo.
La missione dell’Europa
Ma l’Europa, per salvarsi, deve comunque abbandonare i vecchi pruriti nazionali e volgere il suo sguardo al continente tutto. Spetterà a lei rompere l’accerchiamento; e ai capitalisti, a quelli veri, ai capitani di industria e non ai giocatori d’azzardo della finanza, a quelli che non accettano la deriva materialista statunitense e rifiutano l’irrompere del comunismo, trovare una via di mezzo tra il supercapitalismo e il supersocialismo. «I capitalisti d’Europa capiscono che sono dei rivoluzionari? Che si trovano all’avanguardia della storia e che sarà dalle loro mani che potrà provenire questa sintesi di Capitalismo e di Comunismo da cui deriverà la grandezza di domani?». Sarà forse perché Drieu va «per abitudine, al di là del corso quotidiano delle cose» che di errori ne ha commessi. Ma si sbaglierebbe a misconoscergli la capacità di pensare come in pochi sanno fare ancora oggi: pensare per grandi spazi e per continenti, un modo di vedere e di sentire frutto della sua passione per l’Europa: «Il XX secolo è un secolo di coscienza planetaria. Esige delle politiche per fare fronte alle difficoltà che vengono dai quattro angoli dell’orizzonte». Politiche che non possono nascere dagli Stati nazionali, ma solo dal pensare in grande.