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 2009  settembre 08 Martedì calendario

All’alba del 23 ottobre 1983 - l’anno in cui uscì in Italia Mishima o la visione del vuoto, e due anni dopo la sua stesura per mano di Marguerite Yourcenar - il sergente dei marines Steve Russel vide l’autista di un camioncino Mercedes giallo sorridere mentre sfondava le barriere di filo spinato della base

All’alba del 23 ottobre 1983 - l’anno in cui uscì in Italia Mishima o la visione del vuoto, e due anni dopo la sua stesura per mano di Marguerite Yourcenar - il sergente dei marines Steve Russel vide l’autista di un camioncino Mercedes giallo sorridere mentre sfondava le barriere di filo spinato della base. Pochi istanti dopo, il camioncino esplose e ammazzò 241 soldati. A Beirut, l’Islam, tramite Hezbollah, aveva dichiarato guerra all’imperialismo americano. Stavamo ancora combattendo una vecchia guerra e già cominciava quella nuova, e nemmeno ce n’eravamo accorti. Qui, da noi, si sparava ancora per antiche rabbie. Venne ferito il giuslavorista Gino Giugni e accoppato Paolo Di Nella del Fronte della Gioventù. Si processavano e condannavano all’ergastolo gli assassini di Aldo Moro. Piccole miserie figlie di un grande dramma, ma non lo stesso che la mattina del 25 novembre 1970 aveva spinto lo scrittore giapponese Yukio Mishima a trafiggersi a morte nel tradizionale rito del seppuku prima che un compagno lo decapitasse. La Yourcenar (che già aveva raccontato fra puntini di sospensione l’ultimo respiro dell’imperatore Adriano e il suicidio dell’eretico Zenone), questa imprecisabile narratrice di uomini e di tempi degli uomini, dedicò un centinaio di fitte pagine ai 45 anni di vita di un giapponese che fu romanziere e drammaturgo, uno che aveva infiammato il suo Paese e il mondo, uno dei tanti che avevano fatto di sé un’espressione dell’estetica, ma in modo esclusivo. Ce lo descrive ben vestito all’occidentale negli incontri parigini, tumultuante tra i corpi del Carnevale di Rio - dopo due giorni di solitario sbigottimento -, lui, che eiaculò la prima volta davanti al San Sebastiano crivellato di frecce di Guido Reni. il Mishima che nei libri descrive ragazzi in serale compagnia, come ragazzi europei o americani, e fanno le stesse cose, ascoltano la stessa musica. il Mishima del Mare della fertilità, come la vasta pianura lunare che si rivelerà uno sterile deserto: «è Niente, il Nulla». In parecchi si sono esercitati nella decifrazione del gesto: perché Mishima si uccise? Ognuno se lo divora a modo suo, era un omosessuale, un bisessuale, un orgiastico, un fascista, un dannunziano senza pretese dongiovannesche, un artista alla ricerca dell’opera perfetta. Riletto oggi, a quasi tre decenni di distanza, il saggio della Yourcenar spalanca l’immagine di una spaventosa premonizione. Il Giappone che atterra Mishima è un Giappone «dal ventre pieno» dove «il piacere stesso ha perduto oggi il sapore». il Giappone dove l’esercito per sua volontà rinuncia a ricostituirsi, e si consegna al nemico che lo straziò di atomiche nel 1945. la Tokyo nuova, foresta di antenne televisive, una pioggia di gelaterie e distributori automatici di Coca-Cola, e dove si ammassano cimiteri di automobili. La dissoluzione, scrive la Yourcenar, ha già abbandonato quest’uomo che scrive: «Denaro e materialismo regnano incontrastati; il Giappone moderno è brutto». Noi, qui, avevamo altre faccende. Ronald Reagan annunciò il progetto dello scudo spaziale. L’Unione Sovietica, già bolsa, era incamminata verso il collasso e Lech Walesa guadagnò il Nobel per la Pace. Ascoltavamo Thriller di Michael Jackson il cui folle successo era la certificazione del riflusso: ognuno doveva rivolgere le energie su se stesso. Madonna esordiva con un album omonimo in nome della Physical Attraction. Agli Oscar trionfava Gandhi, ma al cinema si andava a vedere ET di Steven Spielberg. Pure l’illuminista e sbuffosa Francia aveva appena eletto una nuova romantica Marianna: era la Sophie Marceau del Tempo delle mele. Nessuno - o forse pochi - colse i segni: il cambio di protocollo mutò Arpanet in Internet; Steve Jobs lanciò per Apple la prima versione di Word; qualcuno riuscì a fotografare il virus dell’Hiv e la globalizzazione della nuova peste aveva appena fatto due vittime in Italia. La sanguinosa e nuova comparsa del kamikaze islamico fu seppellita dalle prime Vacanze di Natale di Carlo Vanzina. La mattina del 25 novembre 1970, Mishima aveva infilato in una busta indirizzata all’editore il quarto manoscritto della sua tetralogia, aveva lasciato su un biglietto «la vita umana è breve e io vorrei vivere per sempre» e andò a morire. Si sbudellò - come aveva recitato in un film tratto da un suo racconto, Patriottismo - in un gesto plateale ma rigidamente tradizionale per rifiuto altissimo del mondo venuto. La Yourcenar scrive che «l’individualità cui teniamo tanto si sfilaccia come un indumento». Lì, Michael Jackson è già finito prima di cominciare. Lo stravolgimento non più sopportabile è l’Imperatore Hirohito che rinuncia alla sua divinità e annienta l’onore e l’amore, cioè il senso stesso della vita. Che senso ebbe il sacrificio fisico e trascendente dei kamikaze della seconda guerra mondiale? E che senso ha trasfigurarsi dentro una donna se la rappresentazione del triangolo, con la coppia alla base e l’Imperatore al vertice, non ha più valore? I fascisti che lo amano, i comunisti di cui amava «l’ideologia ferrea e l’inclinazione per la violenza» - ma ai quali mancava «un atout: l’Imperatore» fatto Dio - ecco, tutti costoro non potevano sapere che Mishima offriva le viscere non alla guerra in corso ma a quella a venire.