Varie, 8 settembre 2009
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HusseinAhmed Lubna
• Ahmed Sudan 1974 (~). Giornalista. Nota per il cosiddetto ”processo dei pantaloni", un paio di «normalissimi calzoni verdi e ampi» reputato «indecente» in base all’articolo 152 del Codice penale sudanese: arrestata il 3 luglio 2009, rischiava una condanna a 40 frustate. Condannata al solo pagamento di una multa (500 sterline sudanesi, circa 140 euro), preferì andare in carcere piuttosto che «legittimare il verdetto» (scarcerata dopo un giorno) • «[...] Era un venerdì. Mi trovavo al ristorante Kawkab Elsharq per una festa quando intorno alle undici di sera la polizia ha fatto irruzione in sala e ha chiesto a tutte le donne di mostrare come fossero abbigliate. Io indossavo un paio di pantaloni sotto un’ampia tunica e il velo. Sono stata portata via insieme ad altre nove donne a bordo di un pick-up. stato molto umiliante. I poliziotti sono stati rudi. Quando ho cercato di tranquillizzare le altre, uno di loro ha afferrato il mio cellulare e mi ha colpito in testa. In commissariato abbiamo trovato altre quattro donne. Indossavamo tutte i pantaloni. Solo allora abbiamo scoperto che il nostro abbigliamento era reputato contrario all’articolo 152 del Codice penale [...] Vieta d’indossare abiti indecenti che causino pubblico imbarazzo. La condanna consiste in 40 frustrate o nel pagamento di una multa o in entrambe. Si tratta di un divieto imposto nel 1991 quando venne introdotta la legge islamica in Nord Sudan. In realtà non specifica che tipo di abbigliamento sia appropriato o meno o quanto debba essere lungo un abito perché sia considerato o meno indecente. La decisione è discrezionale [...] Io sono musulmana ma non credo spetti a un tribunale giudicare come io mi relazioni con l’Islam. una relazione privata. Non è responsabilità del governo farsene giudice. E poi voglio che mi mostrino il verso del Corano dove il nostro Profeta dice che indossare un paio di pantaloni è immorale. Parla di abbigliamento appropriato ma non di pantaloni! Mi batterò. Ma non lo farò per me. Lo farò per le migliaia di donne che sono state frustrate negli ultimi vent’anni in nome della legge» (Rosalba Castelletti, ”la Repubblica” 7/7/2009).